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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?


(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)





Il paese cominciò a formarsi nel feudo Rabì Zeri (nome arabo) oggi Rampinzeri nel primo decennio del XVII secolo secondo le modalità tipiche di tutti i comuni feudali sorti col privilegio dello "Jus populandi".
Nel 1605, Guglielmo Graffeo, barone di Partanna vendette - giusto atto "di compra in notaio Antonino Lanza di Palermo del giorno 15 agosto III indizione 1605 e relativo atto di possesso 19 ottobre IV indizione 1605 rogato notar Pietro Scannariato di Partanna" ad Adriano Papè, principe di Valdina e padrone di Alcamo, il feudo Rampinseri che era affittato dal 1599 e per la durata di otto anni a Girolamo ed Antonino Lanfranchi. Facciata del Castello di Rampinzeri Pertanto il Papè, obbligandosi a rispettare quel contratto, ne ebbe la signoria ma non l'effettivo possesso.
Nel 1609 il feudo, compresi gli abbeveratoi e i tuguri, fu venduto a Luigi Arias Giardina che cominciò ad urbanizzare il paese con strade e costruzioni di edifici civili e religiosi.
- con licenza del vice re di Sicilia del 14.12.1609 confermato dal re Filippo III con decreto 16.11.1613 "esecutorio in Palermo addì 17 marzo 1614" favorendo nuovi insediamenti (specialmente da Palermo, Notò e Mussomeli).
Investito del titolo di marchese della nuova terra, il palermitano don Luigi la nominò Santa Ninfa in onore della veneratissima martire (a quel tempo patrona di Palermo),Statua di Santa Ninfa le cui spoglie erano state, qualche anno prima traslate - con il placet del papa Clemente VIII - dalla chiesa di Santa Maria in Ponticelli di Roma alla cattedrale di Palermo, tra fastosi festeggiamenti e grande clamore in tutta l'Isola.
Il paese fu costruito con assi viari concentrici che convergono nella piazza centrale (Piazza della Libertà). Nel corso degli anni successivi, lungo tali assi stradali e sulla piazza a pianta rettangolare vennero costruiti gli edifici di maggiore importanza civile e religiosa, quali: il palazzo Baronale, l'Ospedale, la chiesa di Sant'Orsola(attuale chiesa del Purgatorio), la chiesa di Sant'Anna ed il Convento del terz'ordine di San Francesco. . Nei decenni successivi furono erette, sempre sotto la spinta dell'Arias Giardina, le carceri e la chiesa Madre.
Nel 1615, dopo la fondazione nel 1609 dell'Arcipretura di Santa Ninfa, durante il vescovado di mons. Marco La Cava della diocesi di Mazara del Vallo, il paese fu dichiarato Feudo Baronale col peso del servizio militare a favore del governo di due cavalli. Al barone Arias Giardina si deve fra l'altro l'istituzione della prima festa del paese in onore di Santa Ninfa, ed ottenne dal viceré d'Ossuna il diritto di sedere nel braccio militare del Parlamento, dove occupava il XXIII posto e nel 1621 fu investito del marchesato da Filippo IV, con l'esercizio della giustizia civile (potere della spada).
Dopo la morte della seconda moglie, il barone si ritirò dal 1617 al 1620 come semplice oblato, col nome di fra' Benedetto, nel convento di San Martino delle Scale.
Mentre il marchese Luigi era ancora vivo, il marchesato passò "con tutte le sue terre, sudditi, redditi, titoli e privilegi) alla figlia secondogenita Orsola, moglie di Mario Bellacera e Cangeloso e poi al figlio di questi, Simone, che prese il nome e le insegne della famiglia Giardina.
Da quel momento in poi, e nei secoli successivi, il feudo passò di famiglia in famiglia, arricchendo sempre di più il paese con nuove costruzioni.
Infatti, nei primi del XVIII secolo, essendosi estinta la linea maschile dei Giardina Bellacera, il feudo passò, in base all'atto di donazione fatto a suo tempo dall' Arias Giardina, a Luigi Giardina Guevara. discendente di Diego, primogenito del fondatore di Santa Ninfa.
Tuttavia, per i debiti contratti durante la lunga causa che l'aveva contrapposto all'ultima dei Bellacera, Eleonora, e per l'ostilità della popolazione (nell'autunno del 1718 i contadini irritati per le sue ingiuste richieste tentarono di ucciderlo e addirittura bruciarono il suo palazzo) don Luigi nel 1720 vendette lo stato di Santa Ninfa al marito della suddetta Eleonora, Federico di Napoli, principe di Resuttano, che nel 1722 donò alla chiesa madre di Santa Ninfa una reliquia (un osso del braccio) della martire palermitana patrona del Paese, ed i suoi successori tennero il feudo fino al 1812

L'OTTOCENTO

I discendenti dell' Arias Giardina cercarono quasi tutti "di promuovere lo sviluppo sociale e civile della comunità locale, dal momento che essi di solito stabilivano la loro residenza nel feudo", sostenendo un''equa ripartizione delle terre, censite a piccoli lotti e date in enfiteusi ai coltivatori . Questo sistema di razionalizzazione delle risorse provocò un incremento delle attività economiche legate non solo all'agricoltura ma anche alla pastorizia ed all'artigianato.
Nel 1812 il paese divenne Comune e di lì a poco furono estesi i confini del suo territorio.
Un momento di crisi, con conseguente regresso demografico (nel 1807 il numero degli abitanti scese a 3951), fu vissuto dalla comunità nei primi dell'ottocento, forse a causa dell'imposizione di forte tasse e di una conseguente carestia.
La ripresa fu tuttavia assai rapida grazie all'estensione delle colture viticole.
Vitina Granozzi PateraIppolita De Stefani Perez Santa Ninfa sposò attivamente le idee liberali del Risorgimento (nel 1860 alcuni cittadini si recarono a Salemi per incontrare Garibaldi, recando con sé il primo tricolore dell'Isola cucito dalle nobildonne Ippolita De Stefani Perez e Vitina Granozzi Patera, come testimonianza di univoco consenso).
Dopo l'Unità d'Italia si affermarono tre correnti di opinione (massonica, socialistica e cattolica) che influenzarono in maniera determinante la vita sociale del tempo.
In particolare alla corrente cattolica si dovette la fondazione di banche popolari, mentre l'ideale socialista, incarnato essenzialmente da Saverio Giacalone, ebbe la sua concreta realizzazione nell'istituzione (1887) della "Società di Mutuo Soccorso Umberto I" (dove fecero esperienza alcuni elementi del clero locale) e nell'organizzazione dei Fasci dei lavoratori.
Nel frattempo, fin dal 1854, in base alla richiesta del decurionato di Santa Ninfa avanzata fin dal 1835, il suo territorio era stato raddoppiato con l'aggiunta dei feudi Torello, Mondura e Buturro.

IL NOVECENTO E IL TERREMOTO

Anche Santa Ninfa conobbe la triste piaga dell'emigrazione, già dai primi del '900, in cui moltissimi abitanti del paese partirono per l'estero, negli Stati Uniti d'America, Canada e Venezuela, in cerca di lavoro.
Solo negli anni cinquanta, tra il 1948 ed il 1954, Santa Ninfa ebbe il primo allacciamento all'acquedotto comunale, per l'approvvigionamento idrico. Ed in seguito ebbe il primo allacciamento alla rete elettrica nazionale. Fino a quei tempi l'acqua veniva rifornita dai pozzi e dalle cisterne, e si viveva ancora con i lumi a gas.
Il paese di Santa Ninfa fu colpito dal disastroso terremoto della Valle del Belice, il 15 gennaio 1968. La scossa fu del 9° grado della scala Mercalli causando crolli in tutto il paese.
La chiesa madre dopo il terremoto< Il disastro fu reso particolarmente grave dal fatto che le abitazioni locali erano in maggioranza vecchie e costruite con "criteri di grande economia" assenza totale di strutture in cemento armato ,
Molte abitazioni, infatti erano costruite con tecniche strutturali molto scadenti: massi di tufo sovrapposti e malta, in assenza totale di strutture in cemento armato; le strade strette ed i paesi arroccati su colline all'interno del normale snodo viario dell'epoca; per cui il paese fu quasi completamente distrutto.
Con le scosse successive di assestamento crollarono strade, ponti, tralicci della corrente elettrica e telefoniche, isolando il paese per diverso tempo.
Il bilancio di quella scossa fu pesantissimo; si ebbero 337 morti e 560 feriti. Gli sfollati furono 8.000, e i senzatetto 2.000, che trovarono ospitalità nelle tendopoli costruite nella piana sottostante.
Nel primo centro di raccolta in contrada Piana, una tendopoli con 20 tendoni militari (all'epoca considerata "un accampamento modello"), fu sistemato il Municipio, impiantato un ospedale da campo della Marina Militare e la chiesa .
Ogni tenda ospitava circa 30 persone, quasi sempre riunite in nuclei familiari, la cui permanenza nelle tendopoli durò all'incirca un semestre. Al limitare del vecchio centro distrutto, nelle contrade Santissimo, Magazzinazzi, Granozzi e Acquanova sorsero, infatti, dei villaggi con alloggi provvisori prefabbricati le "baracche" - in cui la popolazione santaninfese si trasferì.
Dopo molti anni, il paese fu completamente ricostruito con abitazioni antisimiche, conservando idealmente la struttura urbanistica dell'antico paese ma al terremoto si era aggiunto il grave fenomeno dell'emigrazione di massa a causa dello sfaldamento del tessuto economicosociale dei territori colpiti dalla catastrofe.



Dal sito http://www.comunesantaninfa.it

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