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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Torre di Manfria-Gela

Torre di Manfria-Gela




Un importante monumento che si può osservare in contrada Manfria, a quindici chilometri da Gela, è quel che rimane di una torre di avvistamento e difesa denominata "Torre di Manfria" facente parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia fatte costruire su indicazione dell'architetto fiorentino Camillo Camilliani.
La Torre di Manfria, detta anche di Ossana o Ossuna, si erge su una collina sovrastante la frazione e risulta visibile da tutto il golfo di Gela. Attualmente è di proprietà privata e si presenta in discreto stato di conservazione, eccettuato per la terrazza che presenta alcuni tratti del cornicione ormai diruti
Era detta anche torre di Sferracavallo, ma Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, nei suoi Diari palermitani riporta che era chiamata anche Torre d'Ossuna. La sua costruzione venne iniziata nel 1549, durante il viceregno di Giovanni De Vega.
La data, non completamente certa, si desume in quanto Tiburzio Spannocchi nella sua rilevazione la disegna con lo stesso basamento tronco conico della Torre Mulinazzo di Cinisi, che con certezza era già stata costruita nel 1552 sotto il vicerè Giovanni De Vega.
Nel 1578 è citata per essere sita in Contrada Sferracavallo, e non completata, tanto che si suggeriva che : et sarà bisogno fornirla alzandola circa duj canne di più.... Nel 1578 quindi la costruzione venne ripresa e completata su disegno dell'architetto fiorentino Camillo Camilliani, che la cita ben due volte in occasione dei suoi studi preparatori, per i quali preparò un acquarello che mostra la torre di foggia circolare con basamento che presentava una scarpata e parapetto con merli. Riporta che era assai adatta alla difesa essendo in corrispondenza a nord con il Castello di Butera, ed ad est con il Castello di Gela, mentre ad ovest lo era con il Castello di Falconara.
Nel primo quarto del XVII secolo (1615) la torre fu quasi del tutto ricostruita fino ad assumere l'aspetto attuale, e probabilmente, desume il Villabianca, per impulso del vicerè Pedro Tellez Giron y Guzman Duca di Ossuna
Dagli archivi della Deputazione del Regno di Sicilia, risulta che a partire dal XVIII secolo, negli anni 1717, 1757, 1797, la guarnigione della torre fosse composta da quattro soldati ed un sovrintendente scelto tra i cavalieri della città di Terranova (Gela).
Nel 1804 dalla stessa fonte è posta sotto la sovrintendenza di Don Mariano Carpinteri e Gravina, di Terranova, che nel 1805 fece costruire la scala esterna di accesso, a due rampe, ancor oggi esistente. Nel 1867 è ricompresa nelle opere militari da dismettersi.
Alla torre è legata la leggenda del gigante Manfrino , buono e sfortunato, a guardia di un tesoro nascosto, nata dal ritrovamento di monete greche e romane nella zona e di una formazione rocciosa, oggi non più visibile, interpretata come la sua orma lasciata nella roccia.
Delle duecento e più torri costiere dell'Isola, che formavano un rudimentale sistema di vigilanza strategico-militare per segnalare i pericoli provenienti dal mare, la torre di Manfria. Alta circa 15 metri con una base di circa metri 12,50, era una tra le trentasette più importanti dal punto e dipendeva dalla Deputazione del Regno;
All'interno della torre di regola erano residenti alcuni "torrari", retribuiti dal Comune di Terranova, che provvedevano a segnalare le invasioni barbaresche dal mare ed alla bisogna a difendere la torre con l'uso di archibugi, una bombarda e dei liquidi bollenti che versavano sugli assalitori dalle balconate e dalla caditoia posta sopra l'unico accesso. I torrari provvedevano a realizzare le segnalazioni con specchi e produzione di fumi durante il dì e con l'accensione di fuochi  (i fani), durante la notte in concomitanza dell'avvistamento di navi saracene; i segnali erano percepiti da altre due torri vicine:
ad Ovest alla torre di  Falconara e ad Est al campanile della chiesa di Santa Maria de' Platea che fungeva anche da torre secondaria di avvistamento e segnalazione. Con un sistema intermedio di postazioni e di torri di segnalazione, le informazioni quindi arrivavano alla torre di Camarana, a Est nei pressi di Santa Croce Camerina, e con gradualità alle altre del circuito isolano fino a raggiungere. nel giro di un'ora, quei porti dove esistevano flotte navali da guerra che immediatamente prendevano il mare per contrastare l'azione offensiva del nemico. Le segnalazioni, inoltre, erano destinate agli abitanti della città e della campagna tramite torri secondarie come quelle dell'Insegna e del convento dei Padri Cappuccini.
Allora "mamma, li turchi", era un'espressione tipica di cui ancora rimane il ricordo per la ferocia con cui tali pirati barbareschi trattavano le popolazioni dei luoghi costieri depredati.
Oltre ai torrari erano pure pertinenza della città diversi gruppi di guardie a cavallo che percorrevano il litorale fino al fiume Dirillo.
La torre di Manfria è a pianta quadrata con basamento fortemente scarpato che misura circa 12,5 metri per lato. In origine era costituita da due piani, il pianoterra che serviva come deposito di acqua, legna, munizioni, spingarde, schioppi, polvere da sparo e palle di cannone e il primo piano che serviva da alloggio ai torrari (caporale, tenente e soldati).  Inoltre, il terrazzo, provvisto di parapetti, tettoia e due balconate, sostenute da eleganti mensoloni di pietra arenaria, in parte consunti., ospitava due cannoni. 
L'accesso alla torre avveniva dal primo piano con una scala di legno o una corda retrattili prima che nel 1805 fosse costruita una scala in muratura a due rampe, oggi in parte crollata;. Nello stesso anno fu anche realizzato il secondo piano. Attualmente la torre, per l'usura del tempo e l'incuria dell'uomo, è mal ridotta e l'intervento riparatore di qualche anno fa è servito a poco. 
Una decina di anni fa la Torre di Manfria (la cui proprietà appartiene ancora ai fratelli Jacono), grazie ad un progetto approntato dal Comune, fu illuminata con fari a vapore di sodio che la resero visibile di notte in tutta la sua possente maestosità a decine e decine di chilometri di distanza. L'illuminazione, però, durò solo qualche mese. Infatti, i fari, comprese le pesanti nicchie di pietra che li contenevano, e lo stesso impianto elettrico furono ogetto di una feroce azione vandalica tale da mettere fuori uso definitivamente l'intero impianto.
Da allora in poi, tranne un intervento di recupero (peraltro inconsistente) di qualche anno fa, la Torre di Manfria continua ad essere erosa dalle intemperie e rovinata da ulteriori azioni vandaliche senza che nessuno riesca ad intervenire. E così, da più di un cinquantennio, si continua ad assistere impotenti alla degrado di questo importante monumento dell'antichità.



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