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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello di Cefala Diana

Castello di Cefala Diana




Cefalà Diana è un paese adagiato su uno scosceso spuntone di terra arenaria. Un ricco patrimonio archeologico ne attesta l'esistenza di un nucleo abitativo fin dall'età romana. Del Castello, del XIII-XIV sec., resta solo una robusta torre merlata quadrangolare e ruderi delle mura di cinta a dominare l'ampio panorama che fa da sfondo alla Rocca Busambra. E' situato a ridosso del caseggiato che si stende su una pendenza in vista della lussureggiante vallata dell' Eleuterio
Il castrum nel XIII sec. sostituì il vecchio castellum normanno di cui giunse notizia attraverso un documento del 1121 in cui, tra i confini di un podere nel territorio di Vicari, compare «...viam castelli cognomento Cephalas». Un altro documento del 1460 lo nomina Chifala lu vechu, cioè l'antica Cefalà. Di questo antico edificio castrale il novum castellum ha ereditato le funzioni strategiche e militari.
La cittadina, frequentata in periodo bizantino, dopo la conquista normanna entrò a far parte della diocesi di Agrigento. Divenne feudo alla fine del XII secolo, con popolazione in gran parte musulmana (come si evince da un documento risalente al 1242 redatto, oltre che in latino, anche in arabo).
Nel XIII secolo si abbatté su Cefalà una violentissima crisi demografica legata a drammatiche vicende politico-militari, seguita nel 1348 da una terribile epidemia. In quel periodo il Castello di Cefalà viene menzionato in occasione di un suo assedio, effettuato
Il vasto territorio, rimasto privo di uomini e abitanti, venne sfruttato dai palermitani che con contratti di enfiteusi lo adibivano a pascolo o a coltura estensiva di cereali.
Di questo paesaggio grandioso e solitario il castello, costituiva un baluardo difensivo sull'asse di collegamento rappresentato dalla strada Palermo-Agrigento. Il maniero, infatti, intorno al 1329 divenne, assieme al castello d' Icla sul monte Ciarastella e la rocca di Sant'Angelo, parte della triade di fortezze che la famiglia Chiaramonte realizzò per controllare i suoi possedimenti, guadagnandosi presto la fama di "rocca imprendibile".
Vent'anni dopo, tra il settembre ed il novembre del 1349, il castello venne attaccato da truppe di Palermo e delle universitates vicine per sloggiare un gruppo di predoni Catalani che taglieggiava e depredava la città di Palermo dei viveri e che si erano rifugiati dentro le sue mura. In seguito utilizzato come magazzino.
Venuta meno l'aristocrazia militare, in seguito alla restaurazione del potere monarchico, il castello divenne nei secoli successivi deposito di granaglie, prigione rurale e occasionalmente dimora temporanea dei nuovi baroni che si trovavano a passare di lì e trascorrervi un ristrettissimo periodo di tempo.
il 31 dicembre del 1357, Matteo Perollo capitano di Ciminna recupeava dalle mani dei nemici il castello di Cefalà. Dopo un anno esatto, re Federico IV ordina di non togliere il possesso del castello di Cefalà a Matteo Perollo, che lo aveva recuperato e custodito a proprie spese, finché non veniva rimborsato di dette spese. Nel 1396, infine, il feudo ed il castello vengono concessi a Tommaso de Olzenelles. Nel 1401 Cefalà passa nuovamente di mano ad altri feudatari, in questo caso a Giovanni de Apilia, mentre nel 1404 si ha il privilegio di investitura (24 marzo) in favore di Pietro Raimondo de Falgar, cavaliere basco.
Dopo due anni, nel 1406, il cavaliere vende Cefalà a Giovanni della famiglia Abbatellis, mercanti toscani, che la tennero fino al 1523. Del 1431 è una licentia populandi rimasta senza esito; nel 1453 a Giovanni Abbatellis succede il figlio, Giovanni Abbatellis jr, al quale a sua volta succede nel 1466 il nipote Federico Abbatellis. Nel 1490 (25 agosto) si registra l'inventario post mortem dei beni di Federico Abbatellis con l'elenco dell'arredamento del castello: due vecchie bombarde, una lettiera con materasso, una cassa, una madia per il pane, vestimentum unum sacerdotis pro dicendo missam, un vecchio vomere, vari attrezzi agricoli e 25 botti vuote. Il 10 ottobre dello stesso anno Giovanni Manfredi Abbatellis è investito del feudo. Nel 1503 Giovan Guglielmo Valguarnera ed Antonio Abbatellis, tutori di Antoniuccio Abbatellis e poi di Federico jr., si investono di Cefalà. Nel 1507 si ottengono permessi per effettuare lavori di restauro al castello; nel 1520 infine Federico jr. risulta debitore nei confronti dei suoi antichi tutori del denaro speso per il restauro del castello.
Dopo pochi anni, confiscata in seguito alla ribellione degli Abbatellis, Cefalà venne donata al Gran Cancelliere di Carlo V, Mercurino Gattinara; e nel 1525 venduta al barone di Capaci Francesco Bologna che ottiene la licentia populandi, rimasta senza seguito. La storia del castello volge verso fasi decadenti: nel 1571 il castello appare isolato, privo di centro abitato. Prima di giungere a Nicolò Diana, duca di Cefalà, la baronia appartenne all'Opera Pia delle Anime del Purgatorio. I Diana otterranno il titolo di Duchi di Cefalà nel 1684 e, ottenuta una licentia populandi, fondarono il villaggio di Cefalà Diana intorno alla metà del XVIII secolo; nonostante ciò nel 1730 il castello appare in rovina, abitato da poche famiglie di contadini; nel 1780 il villaggio di Cefalà Diana conta meno di cento anime.

DESCRIZIONE DEL CASTELLO
Del Castello del XIII sec., edificato direttamente sulla roccia, resta solo una robusta torre quadrangolare, ruderi delle mura di cinta, gli edifici ausiliari e un'altra torre più piccola.
Abbarbicato su una rupe di arenaria, a 657 metri sul livello del mare, il maniero, che domina la valle del corso iniziale del fiume Milicia, presenta una originalità: la corte centrale, di pianta triangolare, insiste sul pavimento roccioso del pianoro in pendenza, delimitata da un altissimo muro di cinta, che riproduce la configurazione del terreno, r del quale oggi sopravvive ben poco, con merli e altre opere difensive.
Il villaggio settecentesco di Cefalà Diana (dal nome dei fondatori) ha lasciato il castello fuori dal tessuto urbano per svilupparsi a sud-ovest della rupe, dove il terreno è meno ripido.
Dalla sua posizione favorevole, il castello sorvegliava una porzione della magna via Panormi, che, transitando nella zona della Cefalà normanna (monte Chiarastella), viene ricordata nel 1121 come "viam castelli cognomento Cephalas".
Ben visibile dalla fotografia aerea, un'altra via secondaria scende in linea retta dal castello al celebre impianto termale conosciuto come bagni di Cefalà, cui, a partire almeno dal XIV secolo, era annesso un fondaco con la funzione di albergo rurale. Queste notissime terme (sottoposte nel 2000 a scavi archeologici con progetto di allestimento museale), il castello trecentesco (già oggetto di interventi di restauro) nonchè il sito normanno di monte Chiarastella (ancora da scavare) danno al territorio dell'antica baronia di Cefalà un interesse eccezionale sotto il profilo storico, archeologico, monumentale e paesaggistico.
Al cortile del Castello, di pianta triangolare, si accedeva originariamente attraverso una torre, situata a sud, con due vani porta,solo uno dei quali (chiuso da battenti di legno sprangabili mediante una sbarra che scorreva in apposito alloggiamento nello spessore del muro) è giunto fino a oggi. Sul cortile si affacciavano vari locali che costituivano i servizi del castello: stalle, magazzini, alloggiamenti per guarnigione.
La torre Mastra (lughezza 12,60 metri, larghezza 8,40 metri ed altezza 20 metri) coronata da una terrazza munita di merlature, è posta sul punto più alto dello scoglio roccioso. Essa è ripartita in tre piani: i due locali del pianoterra, in origine senza comunicazione diretta con l'esterno, sono coperti da volte a botte, fungevano da magazzino e cisterna .
Una costerna oblunga, scavata nella roccia, occupa, infatti, la metà ovest dell'ambiente nord del piano terreno ed era alimentata dall'acqua piovana che scendeva dalla terrazza attraverso un tubo in terracotta ancora visibile nell'angolo nord-ovest. La comunicazione tra questo pianoterra ed il primo piano avveniva attraverso la volta dell'ambiente nord, grazie ad una botola oggi murata.
Altre aperture erano due strette feritoie strombate. Entrambi i piani superiori sono ognuno di un vano, coperti da volte con mattoni disposti a spina di pesce.
Al piano nobile delle torre si arrivava attraverso un sistema di scale che, partendo dalla corte centrale, giungeva all' unica porta del primo piano sul lato nord , a 5 metri di altezza.
Nella volta si aprivano due stretti vani: il primo, mediante una scale in legno, immetteva in una terrazza coronata da una merlatura; il secondo permetteva lo sfogo al fumo del camino che illuminava e riscaldava il locale sottostante destinato ad abitazione per i periodi di permanenza dei baroni di Cefalà. Il secondo piano, separato con un soffitto-pavimento in legno, non più esistente, riceveva aria e luce da quattro monofore a tutto sesto, una per lato, strombate all' interno e con ghiere di mattoni, due lungo i lati più lunghi del vano, mentre una strettissima saettiera serviva per tenere sotto tiro l'ingresso al castello.




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