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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Chiesa del Gesu

Chiesa del Gesu




La chiesa del Gesù, nota anche con il nome di Casa Professa  che le deriva dall’annessa casa madre dell’ordine religioso, è una delle più importanti chiese barocche di Palermo e dell'intera Sicilia.
La chiesa del Gesù sorse alla fine del Cinquecento per celebrare il prestigio dei Gesuiti arrivati in Sicilia nel 1549 ed ha subito diversi rimaneggiamenti nei secoli. Il luogo dove sorse era ritenuto tradizionalmente rifugio di eremiti, in particolare San Calogero vi avrebbe dimorato in una grotta: tuttora vi si trovano catacombe paleocristiane.
La grande costruzione venne ideata dall’architetto gesuita Giovanni Tristano e, in un primo momento, si presentava ad unica navata con ampio transetto e ampie cappelle laterali. Agli inizi del Seicento, per adeguarla alle esigenze di grandiosità tipiche dell'architettura gesuita, su progetto di Natale Masuccio vennero abbattuti i muri divisori delle cappelle, ottenendo così tre navate. La consacrazione della grande chiesa avvenne nel 1636.
Nel 1892 il cav. Salvatore Di Pietro, già rettore di Casa Professa, ottiene tramite il ministro della pubblica istruzione Paolo Boselli che il tempio venga dichiarato monumento nazionale.
Durante la Seconda guerra mondiale, nel maggio del 1943, una bomba s'abbatté proprio sulla cupola della chiesa che, nel suo crollo, trascinò con sé tutte le zone ad essa vicine e naturalmente andò perduta gran parte delle pitture del presbiterio e del transetto. La cupola fu interamente ricostruita con tecniche contemporanee che prevedevano l'utilizzo del calcestruzzo armato realizzando una struttura a doppia calotta nervata, dissimulata dai rivestimenti esterni.
Dopo quasi due anni di restauro conservativo, il 24 febbraio 2009, la chiesa, riportata alle forme originarie, è stata inaugurata con una messa solenne presieduta dall'arcivescovo di Palermo mons. Paolo Romeo e partecipata da numerosi gesuiti e autorità civili e militari.
La Chiesa si trova nel quartiere dell’Albergheria, uno dei quattro rioni storici (o mandamenti) della città di Palermo, al civico 21 della Piazza che porta lo stesso nome della Casa che ospita la Rettoria dei Gesuiti. Nei pressi lo storico mercato di Ballarò. Poco distante da qui si trova la casa dove nel 1743, un secolo dopo la costruzione della chiesa, sarebbe nato il famigerato Conte di Cagliostro. In tanti ricorderanno anche la citazione che di questa chiesa  fa lo scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa che nel suo celebre romanzo “Il Gattopardo” descrive una visita a Casa Professa di don Pirrone, il prete di casa Lampedusa, durante una passeggiata palermitana in carrozza del Principe.
Così scriveva Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, 1786
“Lo stile dei Gesuiti mi offre sempre materia di riflessione. Chiese, campanili, edifici, rivelano sempre nei loro disegni una grandiosità e una compiutezza che ispirano profondo rispetto a chiunque, mentre nella decorazione è concentrata una tale ricchezza e profusione d’oro, argento, metallo, pietre lavorate, da abbagliare i miserabili di qualsiasi ceto (...), [una ricchezza]  intesa ad accattivarsi e ad attrarre i comuni mortali.  Questo è lo spirito che informa, in genere, il culto cattolico esteriore, ma non l’ho mai visto esprimersi in modo così sagace, abile e conseguente, come fra i Gesuiti. Tutto concorre a far sì che essi non siano, come altri ordini ecclesiastici, prosecutori di una vecchia, ottusa religiosità, ma, in accordo con lo spirito dei tempi, le infondano nuova forza con il fasto e la magnificenza...”
La facciata è semplice e presenta una importante statua settecentesca della "Madonna della Grotta", mentre l'interno rivela una ricchissima decorazione barocca con stucchi e sculture gaginiane, con affreschi di Filippo Randazzo e tele del Novelli. 
La parte più spettacolare dell’edificio è forse la tribuna dell’abside, ornata dall’Adorazione dei Pastori(1710-1714) e dall’Adorazione dei Magi (1719-1721), bassorilievi marmorei posti sulla tribuna, di Gioacchino Vitagliano su modelli del grande Giacomo Serpotta.
INTERNO
L’addobbo interno, viene descritto perfettamente dalle parole che nel 1793 scrisse l’abate comasco Carlo Castone Della Torre di Rezzonico nel suo Viaggio della Sicilia: ““le pareti sono coperte da marmi, da tarsie, da statue e da arabeschi senza fine, che debbono aver costata immensa copia di danaro agli ambiziosi Lojolei [da Ignazio di Lojola- NdR] i quali ogn’altro tempio vollero mai sempre offuscare nella città colle loro magnifiche chiese”. 
Poche parole per descrivere in modo efficace questo miracoloso esempio di fusione tra architettura, pittura e decorazione plastica. Particolarmente vivace è la decorazione a mischio, cioè a tarsie marmoree pregiate, composte secondo motivi floreali o figurati (immagini mitologiche, animali esotici, grottesche...) e tanto più soprendenti tenuto conto che arrivando dall’esterno la facciata, pur di evidente impronta barocca, non lascia - nella sua relativa sobrietà - sospettare tanto rigoglio di decorazioni all’interno.
Prima si citavano Gioacchino Vitagliano e Giacomo Serpotta, ma non sono gli unici artisti ad aver concorso a tanta magnificenza: percorrendo navate è possibile individuare testimonianze anche di altri fra più illustri artisti dell’epoca, tra cui si possono ricordare Pietro Novelli, Gaspare Serenario, Antonio Grano, Ignazio Marabitti. Tutti loro hanno contribuito alla realizzazione di quello che è stato considerato il contributo più significativo e originale della cultura artistica siciliana alla civiltà del barocco europeo, caratterizzato dalla movimentata convivenza fra architettura, scultura e pittura, in conformità alla prassi e all’estetica secentesche;
La decorazione a marmo mischio dell'abside di Casa Professa, rappresenta indubbiamente l’apporto più significativo e originale della cultura artistica siciliana alla civiltà del barocco europeo; integrazione dinamica tra architettura, scultura e pittura, secondo la prassi e l'estetica secentesche, animazione ipertrofica di colori e immagini (“in guisa che senza pennello sembra opera di pennello” scrive il Mongitore). Addobbo teatrale articolato attraverso ricchi e complessi sistemi concettuali, la decorazione a mischio e a tramischio (con parti a rilievo) è anche il genere dove con maggiore chiarezza si coglie il carattere distintivo del barocco siciliano: una collaborazione tra architettie scultori, marmorari e pittori che spesso stabilisce confini assai labili tra le diverse categorie d'artigiani, e che anzi su questa ininterrotta continuità di mestieri fonda la dimensione trionfante del grande cantiere della Palermo barocca, dalla seconda metà del Seicento ai primi decenni del Settecento.
Un'attività così intensa e prolungata esigeva la specializzazione d'intere botteghe spesso a conduzione familiare, e un'organizzazione del lavoro dove il programma concettuale fosse affidato, con una distinzione menzionata nei documenti, a marmorari, a scultori e architetti. Ma al di là dell’animazione brulicante e della ripetizione a moduli verticali derivata dalle grottesche rinascimentali e manieriste, la decorazione a mischio trovava, proprio nella composizione simbolica e dottrinale, la propria unità e il controllo di una vasta iconografia che recepiva ed elaborava un repertorio a cui l’ordine dei Gesuiti aveva dato, lungo tutto il Seicento, un contributo fondamentale recuperando il valore didascalico di molte figure ed episodi dell’arte medievale ed elaborando i modelli proposti da Ripa nella sua IconologiaLa chiesa dei Gesuiti di Casa Professa rappresenta in questo senso l'esempio più complesso e grandioso, il più unitario nella volontà di sottoporre l’intera decorazione a mischio, gli scultori e gli architetti che negli stessi anni prestavano la loro opera ad altre chiese e cappelle, sono chiamati ad approntare il ripetitivo ma variegato repertorio d’immagini ed ornamenti all’esaltazione dottrinale e a ribadire la potenza dell’ordine”.[
Nel romanzo Il Gattopardo viene ricordata una visita a Casa Professa di don Pirrone, il prete di casa Lampedusa, durante una passeggiata palermitana in carrozza del Principe.
Infine, sulle due cantorie ai lati dell'altare maggiore, entro le casse lignee antiche, si trova l'organo a canne, costruito nel 1954 dalla ditta organaria cremasca Tamburini, uno dei più importanti della città. A trasmissione elettrica, ha quattro tastiere di 61 note ed una pedaliera concavo-radiale di 32 per un totale di oltre 4000 canne.



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