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Opera grandiosa, magnifica, dei re e dei tiranni, scavata interamente nella roccia ad opera di molti operai, fino a una straordinaria profondità.

Cicerone, (Verrine, II 5, 68)



Piantina



L'interno del Parco Archeologico della Neapolis è caratterizzato dalla presenza delle cosiddette "Latomie" (parola derivente dal greco "Lytos" ossia "Pietra"), che non sono altro che tipiche cave iblee (caratterizzate da una lussureggiante vegetazione mediterranea) - sia superficiali che, e soprattutto, sotterranee - scavate dalle acque meteoriche ma utilizzate in epoca greca e romana come vere e proprie "cave estrattive" dove estrarre blocchi di pietra utilizzati per la costruzione di edifici religiosi o militari.
Le tante caverne che sorgono all'interno delle Latomie hanno ospitato Necropoli sicule, greche, romane e bizantine, ma anche durissime "prigioni naturali" dove i carcerati (oppositori della Tirannide di Dionisio I e prigionieri della guerra che vide Siracusa e Sparta anteposte ad Atene) venivano rinchiusi, costretti ai lavori forzati e lasciati morire di stenti.
La principale di queste è il cosiddetto "Orecchio di Dionisio".
Le Latomie sorgono attorno al Colle Temenite e sono in tutto tre: Latomia del Paradiso, Latomia di Santa Venera e Latomia dell'Intagliatella.
Le Latomie nascono soprattutto per cavare delle pietre da utilizzare per le costruzioni dalle immense cave di pietra - sia superficiali sia, soprattutto, sotterranee - che, da est a ovest hanno cinto la città di Siracusa. Il termine deriva infatti dal greco latomía, ossia taglio di pietre, che sta ad indicare appunto i sassi, tagliati con scalpello e piccone.
Originariamente vennero realizzate con il lavoro di condannati, prigionieri o avversari politici chiusi in questa sorta di prigione lontana dalla città, le cui dimensioni erano davvero notevoli: "Ha lunghezza di 1/3 di uno stadio e larghezza di 1/3 di 200 piedi", come ci tramandano alcuni studiosi del '600.
Tucidide nel VII libro delle sue Storie racconta che i superstiti della sfortunata spedizione ateniese, furono rinchiusi in cave profonde ed anguste. Qui i prigionieri, stremati dalla fame, dalla sete e dalla calura, erano sottoposti a qualsiasi sforzo fisico ed erano costretti a patire tutto ciò per non meno di settanta giorni.
All'interno delle Latomie, si possono notare, infatti, lungo le pareti, alcuni fori cui, secondo antiche testimonianze, erano attaccate le catene dei prigionieri.
Il comandante ateniese Nicia avrebbe potuto salvare il suo esercito a Siracusa - scrive Polibio -. Egli aveva già scelto il momento della notte adatto per ritirarsi in un luogo sicuro all'insaputa dei nemici, quando sospese la partenza in seguito a un'eclissi di luna per paura che essa fosse di cattivo auspicio; la notte successiva, mentre tentava di allontanarsi con i suoi, cadde con gli altri comandanti e con tutto l'esercito nelle mani dei nemici che avevano avuto il tempo di conoscere il suo progetto..
La flotta, sbarrate le vie d'uscita, fu affrontata nel porto grande da quella siracusana.
Tucidite racconta con tratti straordinariamente vivi le fasi della lotta; il popolo siracusano accorrente alle alture, nella cavea dello stesso teatro, a sostenere, a incitare; gli ateniesi rovinosamente sconfitti, le loro navi bruciate.
I resti dell'esercito greco furono raggiunti all' Assinaros e quivi quasi del tutto eliminati. 7000 prigionieri di guerra furono rinchiusi nelle grandi Latomie e fatti morire:
« In un primo tempo i Siracusani trattarono duramente quelli che erano nelle Latomie. Questi, in molti in un luogo cavo e ristretto, dapprima furono tormentati dal sole e dal caldo, essendo il luogo scoperto; sopravvennero in seguito, per contro, le notti autunnali fredde, Che provocarono le malattie. E poiché per la ristrettezza dello spazio essi facevano tutto nello stesso luogo, e per giunta si accumulavano gli uni sugli altri i cadaveri di coloro che mori - vano per le ferite, per i cambiamenti di temperatura e per cause dello stesso genere, il puzzo era intollerabile, ed erano tormentati dalla fame e dalla sete (intatti, distribuirono loro per un mese un cotile d'acqua e due cotili di grano). E di quanto poteva capitare a chi fosse gettato in un tal luogo, nulla fu loro risparmiato. Rimasero cosi ammassati circa settanta giorni: dopodiché, tranne alcuni Ateniesi e alcuni Siciliani e Italici che avevano combattuto con loro, tutti furono venduti. Non è facile dire esattamente quale fosse il numero totale dei prigionieri, ma certo non inferiore a 7.000 ».
Tucidide (VII 86-7

A molti secoli di distanza troviamo un'altra descrizione in Cicerone (Verrine, II 5, 68).
 « Tutti voi avete sentito parlare, e la maggior parte conosce direttamente, le Latomie di Siracusa. Opera grandiosa, magnifica, dei re e dei tiranni, scavata interamente nella roccia ad opera di molti operai, fino a una straordinaria profondità. Non esiste né si può immaginare nulla di cosi chiuso da ogni parte e sicuro contro ogni tentativo di evasione: se si richiede un luogo pubblico di carcerazione, si ordina di condurre i prigionieri in queste Latomie anche dalle altre città della Sicilia ».

A proposito della loro datazione, non si può dedurre nulla dalla notizia di Pausania (V 8, 8), secondo la quale presso le Latomie era la tomba di Lygdamis di Siracusa, il primo vincitore del pancrazio (un misto tra corsa, lotta e pugilato)a Olimpia, nel 648 a. C.
è difficile stabilire una esatta datazione delle pietraje (per adoperare un vocabolo in uso nel '700), anche perché la loro utilizzazione dovette continuare per un periodo notevolmente lungo ed è probabile che ciascuna di esse sia nata in funzione dell'erigendo quartiere. Alcune di esse esistevano già nel V sec. a. C., come dimostra il racconto tucidideo, e dovevano essere abbastanza ampie, se potevano ospitare 7.000 persone, sia pure in condizioni disagiate.
La loro stessa dislocazione ai margini della Neapolis potrebbe suggerire che le cave siano state sfruttate soprattutto a partire dalla creazione del nuovo quartiere, e cioè forse dall'inizio del V sec. a. C.
Le Latomie sono del resto ricordate soprattutto per la funzione che assunsero in seguito, quella di prigione di stato. Dopo l'utilizzazione, forse occasionale, come prigione degli Ateniesi, quest'uso dovette divenire corrente a partire dall'epoca di Dionigi, il quale vi avrebbe rinchiuso il poeta Filosseno. colpevole di non aver sufficientemente apprezzato le opere letterarie del tiranno (Diodoro, XV 6; Eliano, Varia hisioria, XII 44).
Cicerone attribuisce addirittura la loro realizzazione allo stesso Dionigi, ma altrove, come abbiamo visto, afferma che si trattava di un'opera « dei re e dei tiranni », e cioè per l'appunto di lavori compiuti in un lungo periodo, tra il V secolo e la conquista romana quando, secondo ll'oratore, le Latomie erano utilizzate abitualmente come prigione di stato non solo per Siracusa, ma anche per le altre città della Sicilia.
Ma alcune Latomie servivano come abitazione, da parte dei ceti più umili della città (Eliano, Varia historia, XII 44); probabilmente vi si trovavano anche sedi di collegi e corporazioni, funerarie o d'altro tipo, come sembra dimostrare la presenza in molte di esse di numerosi quadretti votivi dedicati a morti eroizzati (lo stesso avviene anche ad Akrai e a Noto).
è anche possibile che queste cave potessero assumere una funzione difensiva, come parrebbe dedursi dalla loro collocazione. Le più importanti Latomie sono disposte, infatti, secondo una linea quasi continua, da ovest a est, con poche aperture destinate alle vie di accesso da nord, che si potevano facilmente sbarrare in caso di pericolo. Questa linea segue grosso modo i limiti settentrionali della Neapolis, in origine non protetta da mura, sostituite forse da questo tutto sommato efficace sistema di difesa (che potè essere utilizzato, ad esempio, durante l'assedio ateniese, quando tra l'altro fu fortificato il colle Temenite). Le uniche notizie antiche sulle dimensioni delle Latomie si trovano in Eliano, che attribuisce loro la lunghezza di uno stadio e la larghezza di due pletri (circa 200x60 m).
Si tratta naturalmente di dimensioni che possono essere attribuite solo a una singola Latomia (dimensioni simili si ritrovano, ad esempio, nella Latomia di S. Venera e nei settori più importanti delle Latomie del Casale e dei Cappuccini).
Calcoli moderni attribuiscono la cubatura di 4.700.000 m3 al materiale estratto dal complesso delle cave: una cifra gigantesca, che permette di farsi un'idea dell'ampiezza dei lavori edilizi realizzati in Siracusa nel corso dell'età -classica ed ellenistica.
Le più famosa e anche la più grande è la Latomia del Paradiso, che è anche (- la più occidentale, adiacente al teatro e all'Ara di Ierone II. Essa raggiunge in alcuni punti la profondità di 45 m, e in età antica era parzialmente coperta: sul lato nord restano enormi blocchi della volta crollata. Nel lato nord-ovest si aprono alcune grotte, scavate alla ricerca del materiale migliore (l'ottimo calcare bianco a grana fine dei monumenti di Siracusa).
Essa era la cava dalla quale venne stata estratta la più grande quantità di blocchi di pietra (oltre 800 mila metri cubi) ma è anche quella in cui vi sono le principali caverne che fungevano da "prigione naturale"; la "Grotta dei Cordari" e l' "Orecchio di Dionisio". In questa Latomia sono presenti anche piccole caverne che fungevano forse da Catacombe utilizzate nelle epoche sicula, greca, romana e bizantina. Molte di queste sono crollate a causa del sisma del 1693.
Nell'angolo ovest, in prossimità del teatro, il celebre Orecchio di Dionigi o Dionisio è una cavità che presenta una pianta a forma di S, e una volta a sesto acuto, alta 25 m.
Il nome è dovuto al Caravaggio, che visitò la grotta nel corso del suo viaggio a Malta: in effetti, vista dall'esterno, essa ha la forma di un immenso padiglione auricolare. Ma soprattutto, il nome allude alla funzione che la grotta avrebbe avuto, grazie alle sue straordinarie qualità acustiche, che permettono di ampliare enormemente il minimo suono: il tiranno avrebbe in tal modo potuto ascoltare, da un piccolo ambiente collocato all'esterno della grotta, ogni parola dei prigionieri in essa rinchiusi.
Non è escluso che proprio questa possa essere la prigione di Filosseno: Eliano afferma infatti che il poeta era stato rinchiuso « nella grotta più bella delle Latomie, dove aveva composto il suo capolavoro, il Ciclope: grotta che in seguito aveva preso il suo nome ». Potrebbe anche trattarsi della vicina grotta dei Cordari, dalle bellissime sfumature policrome (così detta dagli artigiani che vi operavano fino a pochi decenni fa).
Una galleria moderna mette in comunicazione la Latomia del Paradiso con la vicina Latomia dell'Intagliatella. Tra le due è risparmiato un passaggio, dove convergeva la strada antica proveniente da nord-ovest, che entrava sulle Epipole tramite la porta monumentale detta Exapylon (in corrispondenza della località moderna di Scala Greca). La via era seguita, per quasi tutta la sua lunghezza, dall'acquedotto antico detto del Paradiso, che entrava in città nella stessa zona.
Dall'Intagliatella si accede, tramite un arco tagliato nella roccia, alla Latomia di S. Venera, (chiamata così perchè forse qui vi passò la Vergine di origini acesi "Santa Venera", Patrona della vicina città di Avola). Ubicata nell'estremo settore orientale del Parco Archeologico della Neapolis, questa latomia in passato ospitava un giardino tropicale di cui resta oggigiorno un Ficus secolare appartenente al genere "Macrophylla" meglio noto come "Ficus delle Pagode". Nella parte più orientale le pareti sono crivellate da numerosissime nicchiette votive, che erano accompagnate da piccoli sacrifici e libazioni consacrate al "Culto degli Eroi". (i cui resti sono stati rinvenuti, in varie epoche, entro cavità scavate ai piedi della parete).
A est della Latomia di S. Venera è la necropoli di Grotticelli, che si affianca a una delle altre grandi vie provenienti da nord. Tra le numerose tombe scavate nella roccia sono notevoli due colombari con facciata monumentale, costituita da un frontone poggiante su semicolonne doriche. Quella più a sud è nota con il nome, fìttizio, di " tomba di Archimede " (la vera tomba di Archimede era probabilmente situata, come sappiamo da Cicerone, nella necropoli dell'Acradina, probabilmente da identificare con quella del Fusco, a ovest della città).
Altre importanti latomie si trovano a una certa distanza dal nucleo della Neapolis, più a est. Si tratta delle Latomie del Casale e Broggi, anch'esse collocate lungo la stessa linea ovest-est, e utilizzate probabilmente per la costruzione della Neapolis.
 A nord di queste è un'altra importante cava, che per la sua posizione eccentrica sembra esser stata sfruttata per l'ampliamento della città in età ellenistica, testimoniato tra l'altro dall'edifìcio termale scoperto a nord della Latomia del Paradiso, lungo la strada proveniente dall'Exapylon. La stessa funzione avrà avuto la Latomia Novantieri, sita ancora più a nord.
Molto più distante, verso est, è l'altro grande complesso, noto col nome di Latomia dei Cappuccini. Si tratta di uno degli esempi più vari e impressionanti; per la sua posizione, esso va probabilmente collegato con il quartiere periferico di Tycha (da situare immediatamente più a nord). Si ritiene in genere, ma senza elementi sicuri di prova, che qui fossero stati rinchiusi i prigionieri Ateniesi dopo la sconfìtta del 412.  Molto lontana, all'estremità occidentale delle Epipole, è la piccola Latomia del Bufalaro, probabilmente sfruttata per la costruzione delle mura di Dionigi e del Castello Eurialo.




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