Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Castello Barresi-Branciforte
Si trova compreso tra via del Castello, ad ovest ed a nord, e via Pernice, a sud.
Le prime notizie sul castello rimontano al periodo normanno, e da allora esso è stato testimone di avvenimenti ormai avvolti dalla leggenda.
Probabilmente eretta nei primi decenni del XIV secolo da Abbone de Barresio sul modello dei castelli svevi, la fortezza aveva pianta quadrata (circa 33 metri per lato) e possedeva un cortile interno; da ognuno dei quattro angoli esterni sporgeva una torre cilindrica, mentre un torrione quadrangolare, adibito ad abitazione, s'innalzava al centro di uno dei suoi lati, Al riguardo le fonti riferiscono, forse erroneamente, che era dalla parte di ponente.
Nel 1354 vi si tenne una riunione del parlamento siciliano. La regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino nel 1410, vi trovò ospitalità nella sua tormentata fuga dal Gran Giustiziere del Regno Bernardo Cabrera. E fu qui che si consumò nel 1473 il dramma di Aldonza Santapau, uccisa dal marito Antonio Piero Barresi perché sospettata di infedeltà. Nei primi anni del XVII sec. il castello fu, con la creazione di un secondo ampio cortile interno rettangolare, abbellito da un ninfeo, ingrandito verso sud ed arricchito dai Branciforte, che ne fecero anche un luogo di cultura e di scienza. L'imponente costruzione, però, non resistette alle scosse sismiche del 1693, ma le parti restanti sono sufficienti a far riconoscere la sua struttura quadrata con corte centrale, torri cilindriche ai vertici ed un grosso torrione al centro del prospetto a ponente.
Di ciò resta, oltre a brani di muratura antica e rare porte a sesto acuto all’interno, un torrione a sud ovest accanto alla “Porta della Terra”, sistemata nelle forme attuali nel Seicento dai Branciforte. Al centro dell’atrio del castello, a ricordare l’incanalamento nel 1605 delle acque della sorgente “Zizza” per condurle in paese, il marchese di Militello don Francesco Branciforte fece innalzare una fontana commemorativa dell’evento, inaugurata il 28 Aprile 1607. Tale fontana è costituita da una parte con orlo a gradinati e vasi decorativi che include un’edicola a pilastri ionici con bassorilievo in marmo raffigurante la ninfa Zizza, personificata da una ninfa dai seni zampillanti. Alla base di essa venne posta una grande vasca ottagonale nella quale confluiva l’acqua che sgorgava dai seni della ninfa.
Fasi costruttive
Possiamo osservare diverse fasi costruttive, delle quali restano alcune parti del fortilizio.
Fase dei secc. XIV-XV.
Del lato occidentale si conserva:
- la metà occidentale della torre angolare di sud-ovest (D), visibile da via porta della Terra. La costruzione (diam. m 5,20 alia base), non intonacata, e di blocchetti di lava (pochi quelli di calcare bianco), cementati con malta contenente cocci e ciottoli; nove strati di malta e grossi frammenti di tegole, equidistant! m 0,80 l'uno dall'altro, dividevano la superficie in fasce. La torre era dotata di una scarpa (alt. m 1,45), appena accennata, evidenziata alia sommita mediante una cornice liscia, non aggettante, di blocchetti bianchi. Un'ampia finestra rettangolare nel terzo superiore e la parte ad essa sovrastante non appartengono alla fase originaria.
Del lato settentrionale restano:
- buona parte (un terzo, in larghezza ed in altezza) della torre angolare di nord-est, squarciata alia base da una apertura (A);
- meta (a partire dalla suddetta torre) del muro esterno, il quale, in corri-spondenza del centre, si eleva in un alto e stretto rudere di muraglione (alt. complessiva m 20 ca.), evidentemente parte di un torrione non aggettante (B). Lungo il muro (in cui si intravede un finestrone ad arco a tutto sesto), sporgevano, a m 15 ca. dal suolo e regolarmente intervallati, dei mensoloni, certamente non facenti parte dell'edificio originario; ne sono visibili cinque, di cui tre alla base del muraglione del presunto torrione centrale. Su quest'ultimo ci si deve basare sulla descrizione di Baccelli "... e nella parte di Ponente si vedea una gran torre, dove era l'abitazione; di dentro nella torre vi era al primo ordine una cisterna, come oggi si vede, e poi si veniva al secondo ordine per una scala a lumaca tra il muro, il quale era di grossezza piu di sedici palmi, e tal grossezza si scorge, e considera dal fraccamento del muro di detta torre verso Levante.
Per la scala a lumaca si veniva in una sala, e appartamenti di camere, e cosi nel terzo e quarto ordine vi erano stanze , dove si abitava, e per ultimo con la stessa scala a lumaca si veniva ad uno scoverto, per quanto era tutta la torre, poiche tutte le stanze erano a volta indammusate. Questa torre cascò tutta, restando solo il muro della faccia di levante, che dava tra il baglio, dentro della quale era detta scala a lumaca; cascò, dico, per causa del gran terremoto dell'anno 1542",
Fase del sec. XVII:
- dentro l'area in cui doveva essere il primo cortile (non più esistente), probabilmente in corrispondenza dell'angolo nord-orientale, pesante costruzione a parete inclinata (C), che puo essere interpretata o come scarpa di torrione o come contrafforte a sostegno di muri pericolanti.
- Immediatamente a sud della torre di sud-ovest, vi è l'ingresso principale la c. d. 'Porta della Terra' (E). E' fiancheggiato da due lesene a bugnato e coperto da volta a botte, il tutto in blocchi bianchi (largh. m 3,05 all'esterno e m 3,85 all'interno; lungh. m 14). Al di sopra della volta non vi sono costruzioni, ma si arguisce che la larghezza della fabbrica racchiudente il nuovo cortile doveva essere pari alla lunghezza della porta.
- Nella via Pernice in corrispondenza dell'angolo sud occidentale dell'ampliamento del 1607 vi è un contrafforte d'angolo che per la struttura richiama la costruzione di cui sopra. Detto contrafforte, con parete a piombo nel lato occidentale, in quello meridionale presenta un basamento rettangolare, (lungh. m 8,50; alt. m 1,80) su cui s'imposta la parete inclinata, alta m 8 ca., al termine della quale vi è una fila di mensoloni, non si capisce se originari. I cantonali sono di pietra bianca, mentre il resto è in pietrame cementato con malta grigiastra. La fronte è divisa in fasce da tre cornici bianche, piatte, non sporgenti e regolarmente intervallate a partire dal basamento. Una finestra con arco a tutto sesto, anch'essa incorniciata in bianco, si apre nella fascia superiore.
- Il ninfeo di Zizza (F) al centro del lato orientale del cortile recente celebra il mito di Zizza e Lembasi, pastorelli trasformati una in fonte, I'altra in torrente, trattato da Pietro Carrera nelle sue Chorographia Militelliana (1600) e Zizza (1623) (cfr. Branciforti 1995, pp. 106 e 118). Detta fontana, d'intonazione rinascimentale, ma già con accenni barocchi, è costituita da un fondale in muratura (lungh. m 8,25; alt. m 5), delimitato da due lesene, colorato in rosso e bordato da una bianca cornice piatta, decorata con duplice meandro ad onda inciso. La parete s'innalza a gradoni (due), sormontati da pinnacoli, e culmina con due volute, affrontate a guisa di piccolo timpano ed affiancate da due mazzi di foglie fuoriuscenti da un vaso, il tutto in pietra. Al centro del fondale spicca l'edicola formata da un bassorilievo marmoreo (m 0,80 x 0,80), tra due colonne ioniche sostenenti un architrave con fregio e sorrette a loro volta da una mensola rivestita di foglie.
II bassorilievo, il cui originale è conservato dal 1995 presso il locale museo San Nicolò, rappresenta, entro una nicchia sormontata da architrave dentellato, Zizza, a mezzo busto, acconciata alia greca, che colla destra accenna al cartiglio in alto dove e scritto NON SINE TEMPERANCIA, mentre quello di sotto è d'incerta lettura (QUI SITIS PARCE MENTIRI). Caratterizzano la naiade due docce, al posto dei capezzoli, che versano in un catino baccellato 1'acqua, che viene da qui convogliata in una doccia posta nella mensola di sostegno del catino stesso. Ai lati sono due nicchie con volta a conchiglia ospitanti ognuna una protome leonina, dalle cui fauci sgorga 1'acqua, raccolta da due piccole sottostanti vasche semi-circolari in pietra lavica. L'acqua dell'edicola finiva invece in una grande vasca ottagonale ben lavorata (largh. max. m 3,10; alt. m 1,20) di pietra bianca.
I Barresi
Nel 1303 diviene signore di Militello il barone Abbo Barresi (o Abbone de Barresio, confermato nel feudo dal re Federico III di Sicilia nel 1308) ed è a lui che viene tradizionalmente attribuita la costruzione del castello. A seguito dell'aumento della popolazione e del numero di abitazioni del "casale", nel 1337 il re Pietro II di Sicilia concede a Giovanni IV Barresi, succeduto al padre intorno al 1330, il privilegio di circondare di mura l'abitato includendovi all'interno il castello. Fu con la realizzazione di queste opere che Militello diventa una "terra" del Regno, ossia un centro abitato "chiuso", e quindi una città con capacità fiscale e militare proprie. Il castello era addossato su un fianco al circuito delle mura e delimitato da un fossato sul lato Ovest. Sebbene di dimensioni minori, ricordava nell'impianto i castelli Maniace di Siracusa e Ursino di Catania. Presentava una pianta quadrata di circa 33 m di lato con ampia corte interna, con torri cilindriche merlate ai quattro vertici e, al centro del lato di ponente, un grande mastio quadrangolare adibito ad abitazione del signore. L'accesso principale al castello era dal lato Ovest dove si trovava la grande porta d'ingresso attrezzata di argani e saracinesca.
Fra storia e leggenda sembrano dipanarsi gli avvenimenti successivi. Nell'autunno del 1357 il castello di Militello ospitò una riunione del parlamento siciliano che, su iniziativa di Artale Alagona, gran giustiziere del Regno e leader della parzialità catalana che controllava Catania e il Val di Noto, vi deliberò la lotta a oltranza ai i nemici del re Federico IV di Sicilia. Nel 1410, al tempo della signoria del barone Antonio Barresi, la regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I di Sicilia (casa d'Aragona), vi avrebbe trovato ospitalità durante la sua fuga dal vecchio Bernardo Cabrera, conte di Modica e capitano di giustizia del Regno, che intendeva sposarla per impadronirsi così di tutta la Sicilia. Il Barresi, che era stato esiliato pochi anni prima da re Martino per ribellione, avendo appoggiato le ambizioni del Cabrera, volle in questo modo offrire prova di rinnovata fedeltà alla casa d'Aragona. Nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1473 il castello fu invece teatro di un delitto passionale che vide come protagonisti il barone di Militello Antonio Piero Barresi e sua moglie, donna Aldonza Santapau figlia del barone di Licodia. Accusata falsamente di adulterio dai due cognati, la nobildonna venne uccisa dal marito insieme al presunto amante, il segretario Pietro Caruso, detto "bellopiede" per la destrezza nella danza. La fosca vicenda ha alimentato nel corso dei secoli una ricca produzione letteraria e di racconti popolari sui drammi della gelosia siciliana.
Durante la signoria dei Barresi il maniero subì complessivamente diversi interventi, soprattutto dopo il terremoto del 1542 «che provocò il crollo della torre quadrata chiamata "di donna Aldonza"», «arrecando danni anche alla porta principale. Da quel momento l'ingresso al castello avvenne dal muro di mezzogiorno». Artefice degli interventi post terremoto fu il barone Carlo Barresi che governò il feudo dal 1528 al 1557.
I Branciforte
Il 24 ottobre 1564 il barone di Militello Vincenzo Barresi, figlio di Carlo, fu insignito del titolo di marchese, ma alla sua morte (16 agosto 1567) e, in seguito al matrimonio fra Caterina Barresi (sorella ed erede di Vincenzo) e Fabrizio Branciforte principe di Butera e conte di Mazzarino, unico figlio di Giovanni Branciforte e di Dorotea Barresi, nel 1571, città e fortezza passarono ai Branciforte, uno dei casati più ricchi e importanti di tutta la Sicilia.
In questo periodo i più significativi interventi sul castello si devono al principe Francesco Branciforte (1575-1622) e alla consorte donna Giovanna d'Austria (figlia di Don Giovanni d'Austria e nipote dell'imperatore Carlo V d'Asburgo) che fra il 1602 e il 1622 (anno della morte improvvisa del principe) vi tennero una splendida corte circondandosi di una folta schiera di uomini di talento, fra i quali il poeta ed erudito Pietro Carrera. Don Francesco smantellò il mastio per costruire una nuova ala a Sud chiamata la "galleria", con funzione abitativa e rappresentativa in linea con l'edilizia aristocratica del tempo, e la trasformò in un luogo di cultura e di scienza. Vi fece infatti installare una biblioteca di 10.000 volumi, una tipografia giunta appositamente da Venezia (collocata poi nel vicino palazzo "dei Leoni"), una ricca armeria con una prestigiosa collezione di armature, una distilleria e una cavallerizza (le scuderie); vi istituì due compagnie teatrali, e nel 1607 vi portò l'acqua potabile, come testimonia la Fontana della Ninfa Zizza, decorata dallo scultore Giandomenico Gagini junior al centro della nuova corte Sud.
La "galleria" terminava in un ampio balcone (ancora esistente) sorretto da grandi mensole a intaglio dal quale si godeva (e si gode) una superba vista dell'agro militellese e dei monti Iblei fino a Buccheri e monte Lauro. Il Branciforte fece anche realizzare un artistico portale a decoro dell'ingresso principale del castello a mezzogiorno, non molto dissimile da quello realizzato nello stesso periodo per l'abbazia benedettina da lui fondata a Militello. In cima al portale era collocata una lapide (oggi dispersa) che recitava: D.O.M. Philippus III Hispaniarum et Siciliae Rex, Don Francisco Brancifortio et Joanna Austriaca principibus Petrapertiae et Militelli marchionibus Porta haec Oppidi vetustissima restituta et Bibliotheca vero erecta - MDCXVII.
Nella seconda metà del Seicento, Giuseppe Branciforte marchese di Militello, principe di Butera e conte di Mazzarino, abitò il castello e lo abbellì ulteriormente con magnifiche stanze, gallerie e fontane. Il suo segretario e uomo di lettere Filippo Caruso ebbe a scrivere: "non è in Sicilia palazzo signorile più comodo e più bello". Dopo la morte del principe Giuseppe (1675), sebbene i Branciforte abbiano mantenuto il feudo di Militello fino all'abolizione della feudalità (1812), nessun marchese abitò più il palazzo, preferendo la capitale Palermo ai loro feudi sparsi nell'isola.