Ove son or le meraviglie tue O regno di Sicilia? Ove son quelle Chiare memorie, onde potevi altrui Mostrar per segni le grandezze antiche?
(Dal Fazello - Storia di Sicilia, deca I,lib. VI,cap.I)
Isola di Mozia - Marsala
Età antica
Mozia fu probabilmente interessata dalle esplorazioni dei mercanti-navigatori fenici, che si spinsero nel Mar Mediterraneo occidentale, a partire dalla fine del XII secolo a.C.. L'antico insediamento di Mozia nacque come emporio fenicio nell'VIII secolo a.C., ove i mercanti trovarono condizioni assai simili a quelle di Tiro: isoletta all'interno di una laguna molto vicina alla terraferma, capace di consentire scambi commerciali con le popolazioni del luogo e di garantire una buona sicurezza.
Sull'origine e significato del nome Mozia sono state avanzate diverse ipotesi. La prima si rifaceva alla derivazione dal fenico MTW o HMTW, che significa luogo dove si tesse; l'altra invece, già avanzata dall'inglese Whitaker, collegava il toponimo MOT, cioè melma, all'accadico metu, vale a dire acque stagnanti. Da metu poi sarebbe derivato il greco Motye, citato anche da Tucidide e da Diodoro Siculo, e conseguentemente l'italiano Mozia.
Intorno alla metà dell'VIII secolo a.C., con l'inizio della colonizzazione greca in Sicilia, Tucidide riporta che i Fenici si ritirarono nella parte occidentale dell'isola, più esattamente nelle tre città di loro fondazione: Mozia, Solunto e Palermo.
Archeologicamente è testimoniato un insediamento della fine dell'VIII secolo a.C., preceduto da una fase protostorica sporadica ed alquanto modesta. Ma l' arrivo in Sicilia di popolazioni greche in fuga dalla povertà e dalle guerre civili e la loro espansione verso occidente mutarono la vita degli abitanti di Mozia, fino ad allora pacifica e in stretto accordo con le popolazioni del luogo, gli Elimi. L'influenza di Cartagine, anch'essa fondata dai fenici, comparve concretamente nel VI secolo a.C. con l'edificazione di una vera e propria città con mura che correvano lungo tutto il perimetro insulare forse collegate alle spedizioni greche in Sicilia occidentale di Pentatlo e Dorieo nel VI secolo a.C. Questa opera difensiva era lunga 2,5 km e dotata di quattro porte in direzione dei punti cardinali. Gli accessi erano fortificati con due torri avanzate. Studi condotti dall'Università La Sapienza di Roma hanno permesso di individuare quattro fasi costruttive delle mura che di volta in volta hanno comportato un ispessimento della cortina difensiva e un aumento di torri quadrate. La prima fase ricorda le tecniche costruttive adottate in Siria e Palestina nel I millennio a.C., con un muro spesso poco più di un metro, mentre l'ultima denota una costruzione in risposta all'evoluzione delle tecniche di assedio del V-IV secolo a.C., col muro che raggiunse uno spessore di 5 metri.
In poco tempo, Mozia divenne una delle basi commerciali più importanti del mondo antico.
Diodoro Siculo ci informa che Mozia era ormai un potente porto militare e commerciale dei cartaginesi quando, nel 397 a.C., fu investita dall'offensiva di Dionisio I di Siracusa che la conquistò e la distrusse. Prima dell'arrivo dei siracusani, i punici di Mozia avevano rimosso la strada che li collegava alla terraferma. L'abile tiranno di Siracusa fece però interrare parte del braccio di mare dello Stagnone per poter assaltare le mura con le macchine da guerra. Dopo giorni di assedio, Mozia fu saccheggiata e depredata di grandissime ricchezze.
Ed anche se l'anno successivo il capo della flotta militare cartaginese Imilcone ricacciò i siracusani posti a presidiare l'isola, la decadenza di Mozia era ormai iniziata già all'indomani della sua distruzione, quando parte dei sopravvissuti si erano rifugiati sul vicino promontorio fondando la città di Lilibeo (Marsala).
Dopo la battaglia delle Isole Egadi nel 241 a.C. tutta la Sicilia passò sotto il dominio romano, ad eccezione di Siracusa: Mozia doveva essere quasi del tutto abbandonata, dal momento che vi si sono rinvenute solo pochissime tracce di nuova frequentazione, generalmente singole ville di epoca ellenistica o romana.
Mozia non fu più ricostruita, e per questo costituisce una rara testimonianza di insediamento di tipo fenicio-punico pervenutoci quasi integro, senza successive sovrapposizioni.
Età medievale e moderna
Nell'XI secolo l'isola fu donata dai Normanni all'abbazia di Santa Maria della Grotta di Marsala e vi si insediarono i monaci basiliani di Palermo, che diedero poi essi stessi il nome San Pantaleo all'isola, dedicandola al proprio santo fondatore dell'ordine. Nella seconda metà del XVI secolo, insieme ai monasteri di Palermo e Marsala, passò ai Gesuiti, e alla fine del Settecento precisamente nel 1792 fu data come feudo al Notaio Rosario Alagna di Mozia insignito con il titolo di Barone di Mothia. Sotto il suo patrocinio sono incominciati i primi scavi archeologici, a seguito autorizzazione del principe di Torremuzza e poi di Monsignore Alfonso Airoldi, custodi alle antichità della Sicilia occidentale e fu nominato sovrintendente alle antichità del territorio di Trapani. Sotto il suo patrocinio, sono stati scoperti reperti archeologici, conservati ed esposti al museo Whitaker dell'isola. Alla fine del feudalesimo 1806, passò in mano di piccoli proprietari che la coltivarono soprattutto a vigneto, come d'altronde è ancora oggi.
La prima identificazione dell'isola di San Pantaleo (così chiamata dal secolo XII) con l'antica Mozia risale al viaggiatore e studioso olandese Filippo Cluverio nel XVII secolo, anche se notizie dei resti archeologici sull'isola si hanno nei testi di diversi eruditi del Settecento e, sembra, a seguito di ricerche condotte per ordine del Mons. Airoldi, allora custode delle Antichità del Val di Mazara, sotto la direzione del barone Rosario Alagna; nel 1793 si rinvenne un gruppo scultoreo riproducente due leoni nell'atto di azzannare un toro, oggi esposto nel Museo Whitaker sull'isola.
Nell'opera, purtroppo fortemente erosa, la cui tematica ricorda le radici più propriamente fenicie della cultura moziese, è stato proposto di riconoscere l'elemento decorativo posto a coronamento della Porta Nord. Ed è forse la somiglianza tra quest'opera e la scultura che sovrasta la Porta dei Leoni di Micene, che convinse Heinrich Schliemann a sbarcare nell'isola per condurvi una campagna di scavo nell'ottobre del 1875 su invito dell'allora ministro della Pubblica Istruzione.Una presenza tanto prestigiosa quanto fugace, poiché il celeberrimo scopritore di Micene e Troia abbandonò i lavori precipitosamente, dopo meno di una settimana, definendo "infruttuosa" la sua esperienza.
Ricerche archeologiche scarsamente documentate erano state condotte anche nel 1865, 1869 e 1872 ma fu nel 1883 che Innocenzo Coglitore identificò definitivamente il sito con l'antica Mozia.
Età contemporanea
Agli inizi del Novecento l'intera isola fu acquistata da Joseph Whitaker, archeologo ed erede di una famiglia inglese che si era trasferita in Sicilia arricchendosi con la produzione del marsala. Fu lui a promuovere i primi veri e propri scavi archeologici, che iniziarono nel 1906 e proseguirono fino al 1929 con il ritrovamento dei maggiori monumenti della città antica e si occupò inoltre della sistemazione degli scavi, acquistando l'isola e sistemandovi il museo.
L'attività archeologica di Whitaker si concentrò su tutto il perimetro orientale e settentrionale dell'isola, identificando successivamente le aree della Necropoli arcaica, del Tofet e del grande Santuario del Cappiddazzu. L'esploratore inglese mise in luce la casa patrizia detta "dei Mosaici" e, infine, identificò e scavò l'impianto di Porta Sud e soprattutto il bacino artificiale del Kothon.
Il taglio decisamente scientifico del metodo di Whitaker portò oltretutto alla creazione sull'isola di un museo permanente, precorrendo il moderno concetto di contestualizzazione del reperto archeologico, oltre alla pubblicazione dettagliata dei ritrovamenti all'interno di un volume ancora oggi fondamentale per gli archeologi: Motya. A Phoenician Colony in Sicily (Londra 1921).
Così scriveva Whitaker nell'introduzione: "Questo lavoro è stato iniziato nell'anno 1906 e, in ottemperanza alle leggi italiane, sotto la supervisione dello Stato, nella persona del Prof. Antonino Salinas, il defunto famoso direttore del Museo Nazionale di Palermo, mentre la direzione dei lavori è stata affidata al Cav. Giuseppe Lipari Cascio di Marsala, che da anni si è dedicato con zelo e con il più vivo interesse alla ricerca archeologica in questa parte della Sicilia".
Nel 1930 lo scavo del santuario del Cappiddazzu fu portato a termine da Pirro Marconi, ma solamente dal 1955 gli scavi furono proseguiti da una missione archeologica congiunta delle Università di Leeds,Oxford, Londra e Fairleigh Dickinson (USA), diretta da Benedikt Isserlin e a cui partecipò anche Pierre Cintas, celebre archeologo che aveva già scavato a Cartagine: le indagini interessarono le zone di Porta Sud e di Porta Nord, fu rimessa in luce una capanna preistorica nell'area del Cappiddazzu ma soprattutto Isserlin si dedicò per primo in maniera accurata allo studio e all'interpretazione del bacino del Kothon, cercando esternamente gli eventuali canali di alimentazione del bacino e svuotandone l'imboccatura.
Dopo qualche anno dall'arrivo di Isserlin, e in concomitanza con la fondazione a Roma, alla metà degli anni '60, dell'Istituto di Studi per il Vicino Oriente dell'Università "La Sapienza", l'isola di Mozia diventa un vero e proprio laboratorio dell'indagine archeologica. Nel 1964, Sabatino Moscati, direttore dell'Istituto, e Vincenzo Tusa, Soprintendente dell'allora Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Occidentale, intrapresero una serie di campagne di scavo congiunte che, sotto la direzione scientifica di Antonia Ciasca, hanno portato alla luce monumenti di eccezionale importanza, come l'intera area del Tofet, le necropoli e il Santuario del Cappiddazzu.
Dal 1971 l'isola è di proprietà della Fondazione "Giuseppe Whitaker", costituita e voluta dalla figlia Delia, oggi scomparsa; dal 1974 vi ha condotto scavi Antonia Ciasca, soprattutto nelle cinta muraria riportandone alla luce un vasto tratto nel versante nord-orientale e facendo di questi studi un vero e proprio punto di riferimento nell'ambito degli studi sull'architettura difensiva fenicio-punica.
Dal 1977 Gioacchino Falsone e Antonella Spanò Giammellaro dell'Università di Palermo hanno svolto diverse campagne nel centro abitato tra il santuario del Cappiddazzu e l'area della Porta Nord riportando alla luce un importante impianto industriale (Zona K).
Il 26 ottobre del 1979 in questo settore, nel tratto prospiciente il lato di fondo del Santuario del Cappiddazzu fu trovata la celebre statua marmorea del Giovane di Mozia, una delle testimonianze scultoree greche più rilevanti rinvenute in Sicilia occidentale.
Nel 1985 gli scavi hanno interessato la Casa dei Mosaici con Enrico Acquaro.
Nel 1987 alla Provincia di Trapani viene assegnata un'autonoma Soprintendenza Regionale ai Beni Culturali e proprio tra il 1987 e il 1993 hanno luogo una serie di campagne di scavo concentrate nella Zona B e per la prima volta al recupero di un edificio abitativo, la cosiddetta "Casa delle Anfore".
In realtà la lunga serie di insulae riportate alle luce sono parte di un fitto quartiere abitativo da attribuire al ceto medio moziese, collocato nel settore centrale dell'isola. Lo scavo del settore della "Casa delle Anfore", più propriamente della Zona A, diretto da Maria Luisa Famà, si è posto prima di ogni altro il problema del rapporto tra monumento, materiali di rinvenimento e sequenza stratigrafica, evidenziando fasi storiche comprese tra il IV e il VII secolo a.C.
Dall'inizio degli anni '90 si segnalano a Mozia per circa un decennio solo sondaggi sporadici, tra cui spicca lo scavo condotto sull'acropoli dell'isola all'interno del Magazzino Enologico (Zona E). Nel 1993 Antonia Ciasca torna a Mozia per riprendere lo scavo del Tofet, in vista della musealizzazione del santuario, la campagna chiude con successo il ciclo di indagini condotte dalla grande archeologa a Mozia.
Nel 2005 sono state avviate le prime indagini di archeologia subacquea dirette dal Prof. Sebastiano Tusa della Soprintendenza del Mare con il supporto della Coop.SYS che hanno riportato alla luce sulla strada sommersa delle strutture identificabili come delle banchine. Dal 2002 al 2012 gli scavi dell'Università di Roma "La Sapienza" hanno completamente rivoluzionato le conoscenze sull'antica Mozia (www.lasapienzamozia.it). Gli scavi, diretti da Lorenzo Nigro sono stati condotti in sei diverse zone dell'Isola: la Zona C, in corrispondenza del cosiddetto "Kothon" che si è rivelato come la piscina sacra di un Tempio dedicato al dio Baal 'Addir, dove sono stati raggiunti i primi livelli dell'occupazione fenicia di Mozia risalenti alla prima metà dell'VIII secolo a.C. e una serie di tre templi sovrapposti (Tempio C5, C1 e C2), e, all'interno di un Temenos Circolare altre installazioni cultuali; la Zona D, alle pendici occidentali dell'Acropoli, dove sono state portate alla luce due residenze, la "Casa del Sacello domestico" e la "Casa del Corno di Tritone", per via di interessanti ritrovamenti effettuati al loro interno, tra i quali un corno di conchiglia; la Zona B, alle pendici orientali dell'Acropoli, dove è stato messo in luce un ampio edificio con una serie di pozzi, che ha restituito un'arula con una sfinge alata; la Zona F, dove è stata scavata la Porta Ovest e l'annessa Fortezza Occidentale; un sacello dedicato alla dea Astarte era stato inglobato nel settore più occidentale della Fortezza; in esso sono state rinvenute due statue della dea e diverse arule; il Tofet dove le indagini, riprese nel 2009, hanno portato all'identificazione dell'ingresso al santuario dove si sacrificavano i bambini e alla scoperta di un ambiente cultuale ad esso collegato. Gli scavi della Sapienza hanno portato all'identificazione delle sorgenti di acqua dolce che alimentavano il bacino del "Kothon" e l'adiacente area sacra del Tempio di Baal. Inoltre, nella campagna 2012 è stato identificato il possibile nome della statua nota come Giovane di Mozia: si tratterebbe di un eroe omerico, il mirmidone Alcimedonte, auriga occasionale del carro di Achille durante la battaglia per il recupero del corpo di Patroclo sotto le mura di Troia (Iliade XVII).