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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?


(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)





Secondo un'antica credenza, scrupolosamente trasmessa da padre in figlio: In un giorno imprecisato, prima del '600, i pochi abitatori di Altavilla videro veleggiare verso Palermo una nave che stentava a superare Capo Zafferano quindi girare la prua verso terra e chiamare gente.
Accorsi sulla spiaggia alcuni Milicioti, fu loro offerta la Sacra Immagine. Seppero dai razziatori che si trattava di nave corsara che avevano tenuto l'immagine come coperchio di un barile d'acqua; credevano che a causa di essa non avevano potuto avanzare verso Palermo ed invece di gettarla in mare, come prima avevano pensato, la cedevano in mani cristiane.
I milicioti, felici del prezioso dono, portarono in trionfo, su un carro trainato dai buoi, la Sacra Immagine sulla collinetta da essi abitata.
Sull'orlo orientale, dove sostarono i buoi, fu edificata l'antica e semplice cappelletta della Madonna che successivamente ingrandita forma l'odierno Santuario Mariano.
Come i corsari fossero entrati in possesso del quadro, resta un mistero. Si suppone che lo avessero razziato nella chiesa di Santa Maria in Campogrosso. Fin qui la tradizione orale. Nella notte fra il 14 e il 15 luglio del 1636 i corsari, barbareschi naturalmente, effettuarono uno sbarco, mentre a Palermo si celebrava il Festino della Santuzza che, pochi anni prima, aveva salvato la città dalla pestilenza. I festeggiamenti vennero interrotti e la milizia cittadina intervenne decisamente, costringendo gli incursori a riguadagnare le navi. Evidentemente l'allarme era stato trasmesso tramite le torri di avvistamento impiantate lungo la costa, ma come abbiano fatto i soldati a intervenire di volata, al buio e in una sola notte è un altro mistero. È certo che in quegli anni, nelle migliori condizioni di tempo e di mezzi di locomozione, per raggiungere Altavilla occorressero non meno di due giorni. Fatto sta che nel ritirarsi, i corsari ebbero il tempo e l'occasione per oltraggiare il quadro della Madonna, a colpi di accetta. Solo sul retro, però: da corretti ladroni. La nuvena a Madonna di l'Aritu (novena alla Madonna di Loreto) recitata in preparazione della festa della Milicia, attesterebbe che i pirati, dopo aver oltraggiato il quadro, lo abbiano buttato in mare e la sacra immagine finì spiaggiata alla foce del fiume Milicia. La notizia di questi fatti incresciosi si diffuse a Palermo, per cui, sia l'indignazione per l'indebito oltraggio, sia la gratitudine per lo scampato pericolo, diffusero tra i Palermitani una grande devozione per la Madonna della Milicia. E ancora oggi, in occasione della processione dell'8 settembre, vige l'usanza di far sostare il quadro nel belvedere, rivolto verso Palermo, prima del rientro al Santuario. Come Dio volle, fino al 1853 il dipinto rimase al suo posto, oggetto della venerazione dei fedeli. Però le traversie subite, l'inesorabile scorrere del tempo, il fumo dei ceri, lo avevano gravemente danneggiato.
A parte i volti dei personaggi, anch'essi fortemente anneriti, il guadro era ormai un'unica macchia scura e il supporto ligneo dava segni di cedimento. Giocoforza fu necessario un intervento. Però si finì per stravolgere l'opera.
Tutto questo perché il volto della Vergine presentava una straordinaria somiglianza con quella di Loreto. Sia per devozione, sia nell'errata convinzione che una modifica radicale avrebbe impreziosito la reliquia, venne occultato il dipinto originale: alla Vergine venne applicata una rizza (veste) ad imbuto, d'argento dorato e sbalzato a disegni ornamentali e le venne posta una corona regale in testa.
Da Maestà in trono, divenne una Madonna stante. Il Bambino Gesù fu rivestito d'argento liscio.
A San Francesco venne imposta un'aureola, il cordone e le mani d'argento. Le venne attribuito il titolo di Santa Maria Lauretana. Insomma il maquillage la riconvertì in qualcosa d'altro... e fini che si perse anche il ricordo dell'originale.
Nel 1990 si rese necessario un nuovo intervento di restauro. Consolidata la parte lignea, si passò alla pittura. Tolta la rizza d'argento, si procedette ad un esame con i raggi X per stabilire l'autenticità dell'opera e con gli ultravioletti si verificò lo stato dei pigmenti e dell'imprimitura. A questo punto uscì fuori ciò che era stato occultato e si ritrovò un quarto personaggio, tra San Francesco e la Madonna.
Magari sarà stato il committente. Il dipinto, oggi, è stato riportato al suo aspetto primitivo e ha ripreso il suo antico nome: Madonna della Milicia. Raffigura una Maestà, ossia la Madonna assisa in trono, nel pieno rispetto dei canoni medioevali, sia per quel che riguarda la postura che i colori. A differenza della iconografia greca, la Madonna non è vista di fronte, con il conseguente effetto di "appiattimento", ma di tre quarti.
Per quel che riguarda i colori, il manto della Madonna è azzurro e la tunica rossa. Nella simbologia medioevale i colori non erano casuali, oppure scelti per motivi decorativi, poiché dovevano concordare esattamente con i colori dei rituali ecclesiastici.
L'oro era riservato alla rappresentazione di Dio o delle caratteristiche divine ed era un forte simbolo solare. L'azzurro o blu scuro fino a virare al nero, era simbolo di redenzione, sostanza eterna e creatrice: la divinità che rigenera l'uomo dal grembo della Madre e gli trasmette una nuova visione. La vita precede la morte e dalla morte deriva la vita. L'azzurro simboleggia quindi l'umanità e nel nostro caso indica che la Madonna, sebbene dotata di particolari privilegi, resta pur sempre una donna. Il rosso della tunica, anch'esso colore solare, indica che Maria, nel ruolo di Madre del Cristo, unita indissolubilmente alla divinità da un Mistero splendido e incomprensibile, è "piena di grazia": apportatrice di luce e Grazia Lei stessa. Il rosso del bambino è in perfetta armonia con quello materno. Il Cristo tiene nella mano sinistra il rotolo del Libro Sacro e con la destra benedice. Anche l'abito del devoto è rosso, per significare, come dice San Paolo, che l'uomo, per salvarsi, deve "rivestirsi del Signore Gesù Cristo". La plasticità dei personaggi e la composizione dei colori fanno datare il dipinto alla fine del 1300 e attribuire alla scuola giottesca.
Fonte: http://www.comune.altavillamilicia.pa.it




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