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ITINERARIO DEI CASTELLI NELLE PROVINCIE SICILIANE


 

::chiesa-madre-di-s-mauro»Eventi bellici e prodigi nella distruzione della Chiesa di S. Mauro » Storia

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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?


(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)





seconda guerra mondiale era entrata nella sua fase più acuta. Imperversava su tutta l'Europa portando lutti immani e distruzioni catastrofiche in ogni angolo più remoto. Il popolo, ormai stanco e provato dalla guerra e dagli stenti economici, anelava ardentemente che il conflitto prendesse una svolta decisiva qualunque ne fossero state le conseguenze.
Come tantissime citt à e paesi, anche il nostro venne colpito dal furore che ogni guerra comporta per cui i continui bombardamenti aerei e navali, notturni e diurni, costrinsero la popolazione castellese a cercare un riparo più sicuro fuori dell'abitato.
Nel nostro caso particolare, i castellesi si dispersero per le campagne circostanti e lungo la costa che, grazie alla sua natura rocciosa, dispone di una serie di grotte naturali,sicuro rifugio contro la violenza degli elementi bellici. E così, abbandonando ognuno la propria casa e portando con s é lo stretto necessario per una convivenza provvisoria in comune, una parte si diresse nella proprietà del Sig. Salvatore Finocchiaro il cui terreno dispone di alcune grotte e anfratti a protezione delle incursioni aeree e navali. Un altro gruppo, il più consistente, trovò asilo dentro la galleria ferroviaria subito dopo la stazione di Acicastello. Ovviamente i convogli ferroviari non transitavano per la paralisi totale inflitta a tutto il traffico ferroviario. Un terzo gruppo trovò sistemazione nelle ampie grotte sotto il Castello e nei suoi dintorni.
Qui, lascio immaginare a chi leggerà questo scritto, le privazioni, i disagi, le sofferenze subite a lungo dagli sfollati e se questi luoghi e nascondigli per la sua naturalezza avevano il solo pregio di trovare riparo, di contro presentavano le scomodit à più inaudite. Trascorrere la notte, poi, in queste caverne, era la sofferenza più pesante, più asfissiante; si riposava per terra senza poter chiudere occhio fra quella massa brulicante di gente incapace di trovare refrigerio, anche il più elementare; il rigore imposto dalle Autorit à, ci costringeva a stare al buio pi ù completo in un ambiente affumicato dal lungo transitare dei treni a carbone e per giunta scarseggiava fortemente il sapone e non solo questo ma tutti i viveri di prima necessità e l'acqua; per i bambini e gli anziani la situazione si presentava disastrosa.
Termino di narrare dette impressionanti cronache vissute tanti anni addietro ma che ancora oggi sono vive e incancellabili nella mia memoria. Continuava cos ì la vita sempre triste e colma di paure che il terribile sibilo delle sirene ci preavvisava l'allarme.
Il 18 luglio 1943, alle ore 12,30, per bombardamento navale, viene colpita, per la prima volta, la Chiesa Parrocchiale di S.Mauro causando sensibili danni alla cupola. Per tale bombardamento, una vittima e tre feriti. In quello stesso giorno doveva avvenire la sacra ordinazione di tre nostri concittadini: Belfiore Giuseppe, Cirone Francesco e Sagù Igino. All'ultimo momento però il Vescovo Mons. Russo spostò la cerimonia a S.Maria Ammalati come se presentisse il pericolo. Saggia decisione fu quella del Vescovo; se così non fosse stato, chissà quale disastro e quanti lutti.
In una calda serata del mese di luglio e precisamente il giorno 21 del 1943, prima delle ore 19 le sirene, avendo dato l'allarme di una prossima incursione aerea, ci siamo premurati di entrare nei rifugi. Non sappiamo se uno o più aerei, il cui rumore dei motori si confuse con lo scoppio dei proiettili dell'artiglieria contraerea installata nella rotonda di Piazza Castello che guarda Acitrezza e dalla contraerea di Catania e poiché i piloti (si dice che siano stati anglo-americani) vedendosi molestati, sganciarono quattro micidiali bombe che proprio andarono a colpire la Chiesa ed erano esattamente le ore 19,10; un obiettivo ben distante dalla postazione contraerea; altri dicono che dette bombe erano dirette alla Casa Canonica, attigua alla Chiesa,nella quale aveva trovato dimora un Comando Militare.
Fatto sta che dette malaugurate bombe, destinate per la postazione contraerea o per la Casa Canonica, andarono a colpire la Chiesa di S. Mauro che non aveva niente a che vedere come obiettivo militare.
Un grande fragore fece scuotere la terra e noi tutti, intanati nei rifugi, abbiamo capito subito che era stato colpito il paese e cessato l'allarme, siamo usciti dalle nostre tane per vedere quanto di grave era successo.
Dall'alto della galleria, dove eravamo rifugiati, ai nostri occhi si present ò una scena apocalittica da non dimenticare. Una fitta nuvola immensa di polvere e fumo, avvolgeva tutto il paese e abbiamo capito subito che si trattava della Chiesa di S. Mauro. I più coraggiosi siamo scesi in paese a constatare di persona l'entità dei danni che purtroppo risultarono assai gravi. Assieme a noi si unirono anche gli altri venuti dai vari ricoveri per prestare gli eventuali soccorsi.
Era l'orario che si recitava il rosario e la benedizione poiché a quell'epoca non era ancora in vigore celebrare la messa vespertina e le undici persone che si trovarono in Chiesa, non si sa come ma solo per un miracolo, rimasero illesi in mezzo alle macerie, benché ferite: il Parroco don Salvatore Zumbo, il Vice Parroco don Stefano Sciuto, Zumbo Francesco di Egidio fratello del Parroco, Graziella Lanzafame di Sebastiano, Pippa Porto di Antonino, Greco Giuseppina vedova Patanè, Cacciola Angela, Nicosia Giovannina, Roma Rosa, Romano Giovanna e Romano Giuseppe. Una vittima: Francesco Leotta.
Ai nostri occhi atterriti la visione si presentò nella più squallida e impressionante realtà. Crollato il tetto e la cupola e quasi tutti i muri perimetrali, i castellesi piansero amaramente per essere stati colpiti nell'affetto più caro, nel simbolo più prestigioso della loro fede: "San Mauro".
E' un compito assai difficile poter descrivere l'immane spettacolo sconvolgente che si presentava davanti. Di tutte le cose sacre e arredamenti che corredavano la Chiesa, non rimaneva proprio niente o poca cosa. Le pregevoli statue (specie quelle dell'Addolorata e del Crocifisso) di eccellente fattura, forse perché di gesso o di cartapesta, si dissolsero come nebbia al sole; tutto era desolazione, polvere, calcinacci, rovine, cenere; non volevamo credere di essere stati così duramente colpiti; guardavamo attoniti in ogni angolo nella speranza di poter ricuperare qualche oggetto sacro diventato ormai un raro cimelio.
A centro della Chiesa si vedeva quasi una voragine dentro la quale si scorgevano tombe scoperchiate e ossa umane sparse ovunque; una visione alquanto macabra che nessuno di noi si aspettava. Si venne a sapere in seguito che un tempo ivi venivano sepolti gli abitanti per cui la Chiesa fungeva da cimitero. Lo stesso uso era praticato anche nella Chiesa di S. Giuseppe.
Gli altri preziosi simulacri del Cristo Morto, del Cuore di Gesù, di S. Giovanni Apostolo, di S. Antonio di Padova compresi i dipinti, furono letteralmente spazzati via come dalla furia di un uragano; come se non fossero mai esistiti.
Ma, in tutta questa visione di sconforto che ci faceva veramente soffrire e mentre ci aggiravamo fra le macerie ancora fumanti, fummo consolati alla vista del simulacro di S. Mauro con la sua mano benedicente; era rimasto in piedi nella sua cappella anch'essa semidistrutta attraverso la quale filtravano gli ultimi raggi del sole morente; un tramonto tragico e commovente che ci fece tramontare per sempre il fascino artistico di cui ne era ricca la Chiesa.
La statua era lì, sfiorata alla schiena da alcune schegge ancora oggi addosso al simulacro a testimoniare l'immane tragedia. Se volessimo sforzarci a capire come sia stata possibile la sola sopravvivenza della statua in tutto quel marasma desolante, siamo sicuri di non riuscirci. Il minimo che si pu ò capire è che S. Mauro ha voluto restare con noi; ha voluto che il suo simulacro si salvasse per benedire ancora in futuro il suo diletto popolo, facendoci dono prezioso e ricompensa verso i castellesi per essere stati figli devoti. Anche questo ha sapore di prodigio e senso di miracolo.

Domenico Licciardello (detto Enrico)