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(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Terme Achilliane-Catania

Terme Achilliane-Catania

Piazza del Duomo, 8
Piantina



Così come altri monumenti della Catania barocca anche il Duomo fu costruito su parte di un antico edificio romano. Posto a un livello più basso del piano di calpestio e completamente nascosto alla vista, questo edificio, conosciuto con il nome di terme Achelliane, si estende fino alla parte sud della piazza.
Si accede all'ambiente termale (che oggi, per motivi di sicurezza, viene tenuta chiusa al pubblico) passando da un corridoio con volta a botte ricavato nell'intercapedine tra le fondamenta della cattedrale il cui accesso è costituito da una rampa a destra della facciata della stessa. Il nome dell'impianto è dedotto da un'iscrizione su lastra di marmo lunense ridottasi in sei frammenti principali molto lacunosi, databile alla prima metà del V secolo, oggi esposta all'interno del Museo civico al Castello Ursino.
Le Terme Achilliane sono uno degli edifici più significativi di età romano - imperiale a Catania.
L'epoca di fondazione dell'edificio è ancora discussa, ma si ritiene probabile che esistesse già nel IV secolo: l'esistenza dell'edificio sotto Costantino I è ipotizzata in base al reimpiego all'interno della cattedrale di Sant'Agata di un gruppo di capitelli del periodo, che potrebbero provenire da questo edificio. Sulla base di una lunga iscrizione i cui pezzi furono ritrovati in più epoche, si è supposto che intorno al 434 l'edificio fu ridimensionato per ottenere un risparmio di legna. Nel 1088 l'area occupata dalle terme viene scelta dal vescovo Ansgerio per ricavarne la Cattedrale (completata ed inaugurata nel 1094) e il relativo monastero benedettino (in seguito sede della badia femminile di Sant'Agata), mentre nel 1508 viene completata la Loggia Senatoria che vi si addossava per la sua lunghezza. Sepolti dai terremoti del 4 febbraio 1169 e dell'11 gennaio 1693, i resti di parte delle terme - già noti in antico - furono dapprima liberati nel Settecento da Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari,che nel suo Viaggio per tutte le antichità della Sicilia ricorda di aver liberato il monumento dalla terra lì accumulata dopo il terremoto del 1693 e di esser riuscito a scoprire solo una parte del grande complesso termale di cui aveva individuato tracce sotto la Cattedrale, sotto il Seminario (attuale sede del Museo Diocesano) e sotto il Palazzo Senatorio (oggi sede del Comune). Poco dopo, Jean Houel, visitando Catania nel corso del suo viaggio nell'isola, colpito dalla suggestione dell'edificio, che lui riteneva essere un colossale tempio di Bacco, ne riproduce la sala centrale e gli stucchi con amorini, animali, viticci e grappoli d'uva in alcune gouaches oggi conservate all'Hermitage di San Pietroburgo. Nel XIX secolo l'architetto Ittar ne ridisegna la pianta, mentre Adolf Holm, nella sua opera Catania Antica, descrive nel suo complesso l'edificio del quale.
Nel 1856, durante la realizzazione della galleria che passa sotto al Seminario dei chierici destinata ad essere la Pescheria di Catania, si trovarono dei ruderi che pure furono attribuiti allo stesso edificio, pertinenti forse ad un calidarium, in quanto vi erano presenti tracce di un pavimento ad ipocausto. La struttura doveva estendersi fino alla via Garibaldi, dove si trovarono altri avanzi.
Secondo la ricostruzione planimetrica ottocentesca del complesso, la parte attualmente visitabile comprendeva probabilmente solo uno dei frigidaria. Nella planimetria della città di Catania rilevata da Sebastiano Ittar nel 1833 è messo in evidenza anche il muraglione di cinta delle terme, che raggiungeva l'attuale Fontana dell'Amenano a ovest e l'Arcivescovato a est, occupando un'area molto estesa della città.
Dal 1974 al 1994 furono chiuse perché considerate insicure. Furono riaperte dopo un restauro del comune (1997) e nuovamente richiuse per problemi di allagamento. Dopo i lavori di pavimentazione della piazza del Duomo (2004-2006) - nel corso dei quali si è ritenuto di coprire l'impianto con una poderosa piastra d'acciaio per rinforzare l'impiantito della piazza stessa - l'edificio termale è stato nuovamente riaperto al pubblico e alla realizzazione di eventi.
Poco si conosce delle reali dimensioni del grande complesso termale e quanto oggi è visitabile è appena una piccola porzione della sua estensione. Una ipotesi molto fantasiosa relativa alle dimensioni delle terme la fece nel 1633 il D'Arcangelo, erudito di storia locale, il quale fece realizzare una planimetria priva di elementi reali e riconoscibili, sebbene abbia il merito di essere il primo lavoro avanzato in tal direzione, ispirandosi palesemente alla planimetria delle terme di Diocleziano.
Molto più accurata è la planimetria resa da Sebastiano Ittar nella pianta generale della città di Catania. In essa viene attribuita alle terme una cortina muraria che correva a sud della piazza Duomo, identificata quale muro perimetrale dell'area termale. Diversi scavi occasionali hanno fatto ipotizzare il rinvenimento di tracce dell'impianto in altre parti dell'areale oltre a quanto noto, facendo desumere che esso costituiva l'area oggi occupata dagli edifici compresi tra le piazze Duomo, Università e San Placido. All'interno della cinta che circondava l'edificio si ricavò per intero la Cattedrale e il primo impianto monastico benedettino fondato dal vescovo Ansgerio. Alle mura di cinta sul lato occidentale si addossò anche la Loggia Senatoria, distrutta durante il terremoto del Val di Noto del 1693, e si aprì la Porta di Eliodoro.
La parte di edificio oggi visitabile è costituita da una sala centrale a pianta rettangolare con quattro pilastri su cui si impostano le volte. Al centro di questo ambiente si trova una vasca originariamente rivestita in marmo, così come di marmo sono alcune lastre, in frammenti, che dovevano costituire la pavimentazione del vano.

Frigidario
Dell'impianto originale si conserva una camera centrale il cui soffitto a crociere è sorretto da quattro pilastri a pianta quadrangolare.
Al vano si accede tramite un corridoio con volta a botte che corre in direzione est-ovest e terminante in una porta che si apre su una serie di vasche parallele tra loro, facenti parte di un complesso sistema di canalizzazione, drenaggio e filtrazione dell'acqua che si estende verso nord. Anche il vano principale si apre con tre ingressi ad arco sulle vasche, ad ovest del vano stesso.
L'ambiente misurerebbe 11,40 metri di larghezza e 12,15 metri di lunghezza, mentre le stanze di decantazione sarebbero lunghe in tutto 18,65 metri.
Il corridoio misurerebbe 2,50 metri in larghezza per una lunghezza di oltre 16 metri.
Anticamente i pavimenti (di cui oggi non rimangono che labili tracce) erano in marmo, come dimostrano alcuni lacerti tra cui i resti di una vasca posta al centro dell'aula, mentre alle pareti e sul soffitto vi erano stucchi sicuramente dipinti ispirati al mondo della vendemmia, con eroti e tralci di vite; tali stucchi, sebbene ben leggibili nel XVIII secolo, oggi appaiono molto logori e in ampie parti lacunosi. La presenza di acqua corrente costantemente filtrata, l'assenza di aperture al di là dei tre accessi alle stanze di decantazione, la presenza di una vasca (piscina) al centro della sala e i rivestimenti marmorei dimostrano l'uso a frigidario dell'ambiente.

Epigrafe
L'epigrafe che diede il nome all'impianto è in lingua greca e usa caratteri greci piuttosto tardi in scriptio continua, è posta su quattro linee ed è formata da diversi frammenti di lastra incisi, con lacune sebbene non gravi, ritrovati in diverse epoche, ma originariamente facenti parte di un unico lastrone in marmo lunense.
I frammenti misurano 0,30 metri in altezza ed hanno una lunghezza complessiva di quasi 4,30 metri. Essendo state rinvenute quasi tutte dallo stesso areale, si è supposto che l'intera incisione facesse originariamente parte dell'edificio termale fin qui descritto.
Viene menzionata da diversi autori anche la presenza di quattro lapidi riportanti la scritta Q. LUSIUS/ LABERIUS/ PROCONSUE/ TÆRMAS, che confermerebbe ulteriormente l'attribuzione della lapide ad un grande impianto termale sito al di sotto della Cattedrale, un tempo forse esposte all'ingresso delle terme e in seguito murate sulla base di quattro dei pilastri che dividono le tre navate della cattedrale.
Prima del terremoto del 1693, i primi tre frammenti che costituivano la lapide furono murati nella facciata della cattedrale, poi spostati in una parete del vescovato secentesco e da qui vennero trasportati nell'antica Loggia. Nel 1702 si ritrovarono altri due frammenti che l'abate Vito Maria Amico unificò con gli altri e tradusse. In seguito furono esposti al Museo del principe Biscari e da qui all'attuale collocazione presso il museo civico del Castello Ursino. L'iscrizione è stata ricomposta utilizzando tutti i frammenti conosciuti ed è messa a terra, appoggiata a una parete, in modo non consono alla sua importanza, della grande sala ovest detta delle Anfore dal 2007.
Nell'interpretazione che ne dà Francesco Ferrara le terme sono chiamate Achillianai e non Achellianai, come invece riportato da Holm e dal Kaibel e tratterebbe di un ipotetico incendio che rovinò la struttura, restaurata da Flavio Felice Eumazio. Qui inoltre si farebbe riferimento a Massimo Petronio, preceduto da un non ben identificato Julium filium Augusti.
In una delle interpretazioni, effettuata da Giacomo Manganaro, la lapide la si potrebbe datare al 434 sulla base della successione dei governatori. Sempre secondo il Manganaro in essa si celebrerebbe l'opera di ristrutturazione (forse un ridimensionamento) esplicitamente tendente a economizzare legna da ardere negli ipocausti, conclusa dal neo governatore di Sicilia, Flavio Felice Eumazio, già avviata dal suo predecessore Flavio Liberalio, consularis Siciliae secondo la sua interpretazione, sotto l'imperatore d'Oriente Teodosio II[23]. Tale ricostruzione permetterebbe dunque, sempre secondo l'ipotesi del Manganaro, di dare almeno due nomi ai proconsoli Siciliani della prima metà del V secolo: Eumazio e Liberalio. Inoltre avrebbe riconosciuto il nome di Leone quale architetto artefice del restauro.

Visite su richiesta c/o Museo Diocesano Catania
Tel. 095.281635
Ingresso a pagamento




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