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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Castello di Roccella

Castello di Roccella




Il Castello di Roccella sorge lungo spiaggia ghiaiosa di Campofelice di Roccella, sopra un affioramento roccioso protendendosi con l'ultima parte direttamente a strapiombo sul mare. Appena a est del castello si trova la foce del torrente omonimo che rappresentava nel passato una buona fonte di approvvigionamento idrico. Il complesso architettonico si compone di una torre e di resti di un palazzo e di alcune abitazioni di quello che era il casale di Roccella che un tempo sorgeva nei suoi pressi, e di cui fornisce una descrizione il geografo Idrisi nel 1138: «A dodici miglia sorge Roccella, casale di modeste proporzioni con un forte in cima alla rupe, la quale si addentra nel mare scoscesa in tutte le sue parti».
La configurazione del castello di Roccella dell'epoca è riprodotta in alcune illustrazioni ad acquerello di Spannocchi e Camilliani del Cinquecento che attestano la presenza in loco di un torrione e di un grande palazzo a pianta rettangolare che si elevava su più piani, di cui oggi restano pochi ruderi degli ambienti inferiori coperti da volte a botte e che seguiva l'andamento della rupe protendendosi ortogonalmente alla linea di costa, nell'ultima parte a strapiombo sul mare.
Una fotografia del 1910 documenta uno stadio di fatiscenza del complesso ancora molto inferiore a quello attuale.
Il palazzo si presentava stretto alle sue due estremità Nord e Sud da due torri con terrazze merlate. Il borgo, con le sue piccole case basse si estendeva ai piedi del torrione e tutto il complesso era circondato da mura e rifornito di acqua tramite un grande acquedotto con arcate.

Descrizione del torrione
Il torrione del castello di Campofelice di Roccella si è conservato sostanzialmente intatto. E' un edificio a pianta rettangolare (14,15 x 7,75 m per un'altezza di circa 20 metri con mura spesse intorno ai 2,50 metri) ed è costruito, come il resto del complesso, in muratura incerta di pietrame calcareo e ciottoli fluviali, l'uno e gli altri agevolmente ricavabili nelle vicinanze. Solo i cantonali sono realizzati in pietra da taglio.
Si sviluppa su tre diversi livelli e termina con un coronamento a beccatelli. Oltre alla cisterna interrata, comprende un piano terra rettangolare con finestrelle e copertura con volta a botte a tutto sesto, diviso in due campate da un arcone ogivale. Sotto il piano terreno, e ad esso collegato da una botola circolare, si trova la cisterna a pianta circolare (diametro 4,20 m) coperta a calotta e con un'altezza oggi misurabile (ma il fondo è occupato da detriti) in m 3,90. Il primo piano,o piano nobile con soffitto ligneo, in origine raggiungibile dall'esterno mediante la rampa scalare, era collegato al piano terra da una scala lignea e da una scaletta ricavata negli spessori murari.
L'ambiente prende luce da due finestroni con profilo arcuato a tutto sesto. Sul lato breve nord si apre, al primo piano, la porta d'accesso (con tre beccadelli sottostanti, probabilmente relativa ad una latrina) raggiungibile mediante una rampa di scale esterna, parzialmente conservatasi. Il piano è separato dal secondo mediante un solaio ligneo sorretto da bellissime mensole lignee. Il solaio è andato distrutto o piuttosto asportato (pare durante l'ultima guerra) mentre rimangono in situ le mensole. Il secondo livello è un unico grande ambiente con una finestrella con arco ribassato e soffitto a due volte a crociera su pianta quadrata, con costoloni poggianti su quattro mensole angolari ed altre quattro aggettanti ai lati dell'imposta di un arcone centrale ogivale di sostegno poggiante su semicolonne con capitelli e dove ancor oggi si può ammirare un camino, varie nicchie e gli stemmi dei Ventimiglia. Da qui, tramite una scala a tre rampe ricavata negli spessori murari, si raggiungeva la terrazza.
Il coronamento della terrazza a beccadelli si è parzialmente conservato, mentre, quasi interamente distrutto è andato il parapetto merlato, raffigurato da Camilliani.
Il secondo piano era raggiungibile mediante una scala interna con una prima rampa a sbalzo poggiante su mensole e su una trave lignea (angolo nord-est) e una seconda rampa ricavata negli spessori murari del lato nord. Il torrione di Roccella guarda a modelli antichi ed affermati come i donjons normanni di Paternò ed Adrano ma presenta caratteristiche trecentesche ben evidenziate da Spatrisano, in parte comuni ad altri masti di XIV secolo come quelli di Cefalà e Monte Bonifato. All'interno dell'architettura castrale del Trecento Siciliano, costituisce uno dei testi di più alto risultato formale.
Descrizione del palazzo
Il corpo di fabbrica del palazzo esistente è andato quasi interamente distrutto, conservandone gli ambienti basamentali coperti da volte a botte e la metà di un ambiente coperto da volta a calotta (sezionata dai crolli) che sorge sulla parte più settentrionale della rupe. Camilliani lo dipinse però (con veduta da ovest) come integro, con almeno tre piani (evidenziati da tre file di aperture a diversi livelli), coperto da un tetto presumibilmente a doppio spiovente con camino e serrato alle estremità sud e nord da due torri le cui terrazze merlate superavano di poco il colmo del tetto. Sempre secondo l'acquarello di Camilliani, il borgo che si stringeva a sud-ovest sotto il torrione era costituito da casette con copertura a tegole ed era racchiuso da mura direttamente collegate al castello. Tutto l'insediamento era rifornito d'acqua da un acquedotto ad arcate, ben raffigurato da Camilliani ed ancora oggi in parte conservato.
La già ricordata immagine fotografica dei primi del '900 ne mostra le mura per un'altezza almeno doppia rispetto a quella attuale.

Storia
La storia del castello di Roccella comincia molto tempo prima. Si suppone infatti che sia stato distrutto in seguito all'invasione degli Arabi.
Una prima, supposta, attestazione della località potrebbe essere identificata nella menzione nel decreto di nascita della diocesi di Troina che, insieme alle altre, comprende una Roccamaris che potrebbe, senza certezza, corrispondere alla Roccella. E' certo che nel 1136 è documentata una chiesa di San Giovanni di Roccella, senza tuttavia alcuna testimonianza relativa ad edifici castrensi di varia natura. La prima, certa notizia di un castello è fornita dal prezioso Idrisi che, nel 1150 ca., descrive Roccella (chiamandola col toponimo arabo sakhrat al-hadid) come "picciol casale con un forte [hisn] in cima della rupe, la quale si avanza, scoscesa d'ogni banda, su la spiaggia del mare".
Si arguisce da ciò che alla metà del XII secolo il luogo che in volgare viene già indicato come Roccella era già interessato da un piccolo villaggio (casale) ed un fortilizio (la parola araba adoperata da Idrisi è hisn) costruito sulla rupe che si protende in mare.
Nel 1153 un tale Riccardo concede alla chiesa di Cefaù un pezzo di terra in agro scilicet Roccelle (Pirri 1733, II, p. 801). Nel territorio esistono alcuni mulini nel 1169, mentre nel 1194 si assiste all'ingresso in scena della dinastia Hohenstaufen: le truppe di Enrico VI espugnano una località detta Rochel che potrebbe corrispondere al castello (ma anche, meno probabilmente, a Roccella val Demone, comune attualmente in provincia di Messina).
La notizia è ricavata da una composizione del trovadore provenzale Raimbaut de Vaqueiras. Roccella segue poi le sorti di molti castelli madoniti: nel 1205 il conte di Collesano Paolo Cicala cede Roccella alla chiesa di Cefalù nella persona del vescovo Giovanni, suo fratello; la cessione ha tuttavia breve durata dato che, nel 1218, il nuovo vescovo Ardunino cede Roccella al monastero di Montevergine. Nel 1221 Federico II, confermando la donazione di Roccella a Montevergine, riserva alla corona il diritto di tenere una guarnigione nel castello di Roccella quando ciò fosse opportuno. Roccella tornerà alla chiesa di Cefalù in un momento imprecisato dopo il 1264, plausibilmente dopo il Vespro, nel 1282.
Il castello vedrà, nel 1338, lo sbarco angioino presso le sue spiagge; nella metà del XIV secolo entrerà nelle mire espansionistiche dei Ventimiglia: tra il 1352-1358 infatti il possesso di Roccella da parte della chiesa cefaludese è minacciato dai tentativi di usurpazione compiuti da quidam viri potentiores nobiloresque, molto probabilmente i Ventimiglia, conti di Collesano e signori di quasi tutta l'area madonita, per i quali il castello in riva al Tirreno non poteva che rappresentare un obiettivo necessario per il completo controllo della zona.
Il castello subisce evoluzioni nel corso del tempo: nel 1371 è attestato a Roccella un "caricatore", un punto di imbarco dei cereali dal quale Francesco Ventimiglia conte di Collesano e signore di Roccella è facoltato ad estrarre 2000 salme di grano ogni anno. La cessione formale del complesso castrense avverrà infine nel 1385: in cambio del feudo Albiri, Roccella viene ceduta dalla chiesa di Cefalù al conte di Collesano Francesco Ventimiglia che ne deteneva già da prima il controllo e che aveva fatto ricostruire il castello.
Attorno al 1350 Francesco II Ventimiglia, conte di Geraci e di Collesano, si occupò della ricostruzione della torre, così come si presenta nell'attuale aspetto.
Alla morte di Francesco, nel 1392, il castello va al secondogenito Antonio, conte di Collesano. Nel medesimo anno è confermata la permuta Roccella-Albiri a suo tempo convenuta tra Francesco Ventimiglia ed il vescovo di Cefalù. Sarà Antonio Ventimiglia, dunque, a rafforzare la vocazione commerciale del castello: nel 1394 il conte di Collesano chiede di poter concentrare a Roccella i frumenti provenienti dai suoi feudi per esportarli più agevolmente (con minu impachu), ma nel 1398 il conte ed il castello sono travolti dagli screzi con la corona: re Martino e Maria perdonano Antonio Ventimiglia e gli restituiscono i beni fra cui Roccella. La parabola di Antonio Ventimiglia si concluderà in modo tragico: nel 1408 viene arrestato per un presunto progetto di ribellione alla corona e deportato a Malta, ove morirà.
Dopo un anno, nel 1409, il castello è presidiato da una guarnigione regia di dodici servientes agli ordini del castellano, dominus Petrus de Claromonte. L'armamento della Roccella comprende due bombarde di ferro, tre balestre, dodici pavesi e due casse di verrettoni da balestra. L'influenza dei Ventimiglia sul castello continuerà con Francesco Ventimiglia (detto Ciccu), nato dal primo matrimonio di Antonio Ventimiglia con Margherita Peralta, già diseredato dal padre; egli si ribella e, nel 1412, occupa le terre di Petralia e Collesano. Viene catturato dagli armati di Elvira Moncada, seconda moglie di Antonio Ventimiglia, e gettato nelle prigioni sotterranee del castello di Roccella dove veniva fatto morire della fame.
Il giovane Ventimiglia riuscì però, con la complicità di parte della guarnigione, a liberarsi e a imprigionare a sua volta la matrigna Elvira Moncada che venne trattenuta nelle sue camere assieme alla figlia. Dopo infruttuosi tentativi di ottenere legalmente l'eredità paterna, Francesco Ventimiglia si ribella nuovamente e si fortifica sulle Madonie nel 1418; suo fratello Giovanni, anch'egli ribelle, tiene Roccella. Il castello verrà assediato dalle truppe regie che, dopo avere sparato alcuni colpi con una enorme bombarda, ne ottennero la resa. Nel 1434 Roccella è in possesso di Pietro d'Aragona, fratello di re Alfonso V. Dopo la morte di Pietro d'Aragona, Roccella viene concessa, nel 1440, al conte di Geraci Giovanni Ventimiglia. Nel 1485, tornata al demanio, viene poi concessa al vicerè Gaspare de Spes.
Nel 1501-1507 Roccella è nuovamente demaniale, e comprata dunque da Antonio Alliata. Questa famiglia terrà il possesso della fortezza fino al 1666. Sia nel 1558 che nel 1578, 1583-84 il castello ed il borgo vengono ricordati e raffigurati integri (Fazello, Spannocchi, Camilliani). Nel 1699 si ha la licentia populandi del re di Spagna Carlo II concessa al nobile Gaspare La Grutta. Grazie ad essa si svilupperà, su un sito collinare a poca distanza dalla costa e dal castello, l'attuale centro abitato di Campofelice di Roccella. Nel 1750 ca. il castello è ancora presidiato e munito di artiglieria.



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