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::Il palmento di Rudinì a Marzamemi » Storia

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Ove son or le meraviglie tue
O regno di Sicilia? Ove son quelle
Chiare memorie, onde potevi altrui
Mostrar per segni le grandezze antiche?

(Dal Fazello - Storia di Sicilia,
deca I,lib. VI,cap.I)



Il palmento di Rudinì

Il palmento di Rudinì




Prima dell’avvento del ciliegino, Pachino era conosciuto universalmente come “il Paese del Vino” e il Palmento fondato dal Marchese Antonio di Rudinì, situato sulla collinetta di fronte al porto di Marzamemi nacque come centro di raccolta e lavorazione dell'uva che veniva prodotta nel vasto feudo dei Di Rudinì ed il mosto prodotto era inviato, attraverso una tubazione che utilizzava il dislivello, direttamente nel porto da dove partivano le navi verso i mercati del nord Italia, ma sopratutto della Francia.
Storicamente infatti le alterne vicende della produzione vitivinicola nel territorio di Pachino sono legate alla figura e all’opera di questo pioniere dell’imprenditoria siciliana, che, erede dei fondatori della città, si impegnò profondamente sia per bonificare gran parte del territorio ed avviarlo alla coltura della vite che per far nascere una moderna e razionale industria enologica.
La costruzione dello stabilimento di contrada “Lettiera” iniziò nel 1897, forse per festeggiare la vittoria sulla fillossera, dopo che, a causa di quella, gran parte dei contadini era stata ridotta sul lastrico ed aveva optato per l’avventura dell’emigrazione. Il marchese proprio dall’America aveva importato un nuovo vitigno, resistente alla fillossera, ed aveva così ridato vita alla produzione. Si proponeva di razionalizzare e di industrializzare il ciclo lavorativo dei piccoli palmenti che già da oltre un secolo operavano nel territorio. Nelle immediate vicinanze dello stabilimento sorsero in seguito numerosi altri manufatti legati alla produzione vinicola, i cosiddetti “magazzini del vino”, oltre ad una importante distilleria che riciclava gli scarti della lavorazione (le vinacce) per estrarne alcool. Il grande stabilimento enologico, oggi ridotto ad un rudere come gli altri edifici vicini, era considerato ai primi del ‘900 uno stabilimento all’avanguardia per la produzione di vino.
Il progetto fu commissionato all’ing. Adorno di Palermo e realizzato sotto la direzione dei lavori del pachinese ing. Ciavola ma il marchese partecipò in prima persona alla costruzione del manufatto.
Alla fine dell’800 era cosa notoria perfino sulla stampa nazionale quanto lo”...stabilimento di contrada Lettiera assorbisse tutti i sogni del marchese Di Rudinì...”. Era con estrema passione che “...dirigeva, faceva disegni, misurava, consigliava gli ingegneri e sorvegliava i lavori...” scriveva su “L’Ora” Rosario Brancati, padre del futuro scrittore Vitaliano. La costruzione del fabbricato si protrasse fino ai primi anni del 1900 ed il risultato fu uno stabilimento vinicolo estremamente moderno ed efficiente, diviso in 19 sezioni, intestate a membri della famiglia con sotterranei scavati nella pietra arenaria e vasche di muratura collegate al vicino porticciolo di Marzamemi da un funzionale sistema di pompaggio e canalizzazione. Nello stabilimento lavoravano circa 40 persone che sommati alle “...12 ciurme di giovanotti, pagati 60 centesimi al giorno....ai carrettieri...e alle ragazze che trasportavano l’acqua per i vendemmiatori...” formavano un vero esercito di salariati.
Nello stabilimento furono introdotte moderne macchine come le pigiatrici a rullo.

Nei primi anni del ’ 900 l ‘azienda vinicola produceva 500.000 lire di reddito annuo, però, dopo la morte del marchese (1908) le cose cambiarono : “...la gestione dell’azienda appare più trascurata...” e si ha un netto calo nella produzione del vino che nel 1918 viene stimato mediamente in 2,50 hl a tumulo mentre nel 1909 la perizia annuale parla di 6-7 hl. di mosto come media con punte di 11-12 hl.

Alla morte del marchese, l’azienda passò al figlio Carlo Emanuele che delegò totalmente la conduzione dei suoi beni all’amministratore. Dopo il tragico suicidio di Carlo (1917), vi furono una serie di processi per l’annullamento del testamento che lasciava erede universale l’avv. Sipione Maltese di Rosolini che nel 1915 aveva già nominato “procuratore generale” del patrimonio, rompendo così il pluriennale rapporto col “fidatissimo Tafuri”.

L’azienda vinicola fu posta sotto sequestro giudiziario ed affidata al siracusano avv. E. Giacarà. Dopo lunga e complessa vicenda giudiziaria furono i cugini Ugo Moncada, principe di Paternò con le sorelle a subentrare nella gestione di tutto il patrimonio di Pachino.
Nel 1933 lo stabilimento veniva trasformato in “cantina sociale - anonima cooperativa A. Di Rudinì” e con questa ragione sociale restò in attività fino ai primi anni ‘60. I maggiori azionisti della cooperativa erano i fratelli Moncada (cugini di 2° grado di Carlo Emanuele). Oggi il recupero dello stabilimento Di Rudinì, che ha svolto un fondamentale ruolo nella storia economica locale ed è stato testimone del passaggio dai sistemi produttivi artigianali a quelli industriali, è stato inserito dall'Amministrazione Comunale in un progetto più generale, denominato “Ecomuseo del Mediterraneo”, facente parte dei P.I.T. e finalizzato al recupero del vecchio manufatto, da destinare ad uso turistico-culturale.

Per molti decenni la struttura è stata poi abbandonata senza alcun utilizzo, ma destinata alla devastazione dei vandali come in parte era avvenuto con l'asportazione di tutte le tegole dei fabbricati più bassi diventando anche ricettacolo di immondizia e di rifugio per tossicodipendenti.
Nel 2001, con l'amministrazione comunale del sindaco Mauro Adamo, si diede vita alla costituzione del raggruppamento dei comuni della zona sud per preparare un progetto comune per utilizzare i finanziamenti europei relativi al POR Sicilia che seguii direttamente essendo, fra l'altro, l'assessore al turismo ed allo sviluppo economico.
Si decise così, assieme ai comuni di Avola, Noto, Portopalo e Rosolini, di dare vita al progetto Ecomuseo del Mediterraneo per cui si scelsero progetti finanziabili, nei vari comuni, che rispondessero ai requisiti della denominazione stessa del progetto POR. Il progetto complessivo Ecomuseo del Mediterraneo fu approvato e finanziato dalla Regione ed ebbe anche un ulteriore finanziamento come premio per la qualità del progetto stesso e per essersi piazzato secondo fra tutti quelli presentati.
Si tratta di un vero gioiello di archeologia industriale che si sposa con la tradizione contadina di Pachino e con la sua storia sociale ed economica.




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